Il solo fatto di essere al mondo è un segno. Non dobbiamo preoccuparci di fare chissà quali cose...
del 03 febbraio 2017
Il solo fatto di essere al mondo è un segno. Non dobbiamo preoccuparci di fare chissà quali cose...
Siamo fatti per essere visti, guardati, osservati. La vita di un cristiano è oggetto di un gossip senza freni. Ci piaccia o no, la nostra vita è come dentro la scena di un “grande fratello”, un reality realissimo e senza finzioni; e tutti, ma proprio tutti, sono lì a guardare. Sembra strano ma è così.
Se il Signore chiama, si diventa spettacolo per il mondo e per gli angeli. Come duemila anni fa. Il mondo, questo sperduto mondo del Terzo Millennio cerca martiri. Testimoni. Ne ha fame, sono la sua unica speranza. Per questo il loro sangue scorre ininterrottamente da due millenni.
La Chiesa “è” solo se “è martire”, testimone e annunciatrice dell’amore di Dio, dell’infinita sua misericordia. La nostra vita non può essere altro che un martirio, ogni ora, ogni istante. Neanche un mal di denti, un sorriso, un’arrabbiatura. Tutto in onda. Tutto in diretta. Non stop. Sino al giorno in cui il Padre non staccherà la spina per farci suoi in eterno.
Che bella la nostra vita allora, meraviglioso perderla per amore, perché il mondo creda. Ogni istante è prezioso, un fotogramma dell’amore di Dio donato al mondo intero. La nostra vita per il mondo. Tutto è santo, tutto di noi è suo, perché lui divenga tutto per tutti. Per questo il Signore oggi ci mette in guardia dall’unico vero pericolo che corriamo: quello di perdere il sapore. Se è vero che da una parte è impossibile nascondere una città collocata su di un monte, dall’altra è vero che si può spegnere la luce.
Il solo fatto di essere al mondo è un segno. Non dobbiamo preoccuparci di fare chissà quali cose. E così anche per i missionari, non si tratta di cose straordinarie. E’ una questione di sale, di essere sale che sala. Il sale è la capacità di soffrire, il segno dell’Alleanza. Il sale mostra una fede adulta, che non fugge davanti alla croce, che ha pazienza nelle sofferenze, che ne intuisce il senso, che vede, trasfigurata nella morte, la risurrezione e la vita.
Sale e luce non è allora altro che essere crocifissi con Cristo, laddove siamo. L’alternativa è lo scandalo dei piccoli, diventare inciampo a chi ancora non crede, ai deboli, a chi muove i primi passi sul cammino della fede. Le parole di Gesù sono una sintesi di ecclesiologia, di morale, di liturgia, di storia. E, prima di tutto, una sintesi di cristologia: ci indicano infatti la luce e il sale del mondo, Lui, Cristo.
E’ Lui che si è sciolto nella morte di ogni uomo, anche nella nostra, che ne è divenuto partecipe, senza ribellarsi. E’ Lui che, innalzato sul Golgota, ha attirato ogni uomo nella sua luce di misericordia. E’ a Lui che dobbiamo guardare allora, ogni istante. E’ a Lui che dobbiamo stringerci, sino a lasciarci trasformare in Lui. Sino a che sia Lui a vivere in noi. La storia di ogni giorno provvede a limare, potare, tagliare quanto in noi sia di ostacolo a Lui.
Per questo, proprio nelle debolezze, nelle difficoltà, nei fallimenti si adempie in noi la missione per la quale siamo nati. Proprio quando siamo nulla esplode in noi la potenza di Dio. Non disprezziamo allora nulla delle nostre sofferenze, delle angosce, dei fallimenti. E’ in quei momenti che siamo sale, e luce e lievito. Lo siamo perché siamo quello che siamo.
Nessun moralismo, nessun impegno, nessuno sforzo, solo un’instancabile abbandono all’amore di Dio. Camminando nella Chiesa per crescere e nutrire la fede. E che sia Lui ad operare in noi e accendere, tra le nostre ferite, la luce per il mondo.
E’ questa la nostra vita, come la vita della Chiesa. Ogni istante, anche il più nascosto, è così un’opera buona, bella di Dio in noi, perché gli uomini, guardandoci, possano rendere gloria a Dio, perché le bestemmie contro il Nome di Dio pronunciate da tutti di fronte alla morte, siano trasformate in benedizione.
Forse la maggior parte delle persone che ci guarderanno resteranno con un abbozzo di speranza nel cuore, un seme di Grazia che darà frutto a suo tempo. Non entreranno nella Chiesa, continueranno quasi come prima. Quasi. Quell’incontro con Cristo incarnato nella Chiesa, in una comunità adulta i cui membri si amano di un amore celeste ma visibile, cambia la vita, ad un livello molto profondo. Anche se apparentemente non cambia nulla.
L’incontro con un malato in una corsia di ospedale, sereno, anche con un cancro terminale; l’incontro con una mamma che, senza dir parola, fa la spesa con tre, quattro, sette bambini; l’incontro con un collega che fa sempre il lavoro che nessuno vuol fare; l’incontro con un volto radioso, splendente dell’amore di Dio rompe, misteriosamente, la barriera che difende le proprie convinzioni.
L’incontro con la Chiesa e con i cristiani, è come un santo tarlo che si conficca nel cuore. E’ una luce, è il sale sparso su una vita che perduto il senso. E vedere scricchiolare le proprie certezze è già rendere gloria a Dio, ad un Altro che forse potrebbe esistere, che potrebbe colmare il vuoto, e dare sapore al grigio dell’esistenza. Luce e sale del mondo. Non vi è missione più grande. E Dio ha eletto noi per portarla a compimento. Anche oggi. Anche ora.
Antonello Iapicca
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