Con 367 presenti (gli altri 263 non erano probabilmente interessati a questioni di vita o di morte...), 326 sì e 37 no, i deputati hanno aperto anche in Italia le porte all'eutanasia
del 21 aprile 2017
Con 367 presenti (gli altri 263 non erano probabilmente interessati a questioni di vita o di morte…), 326 sì e 37 no, i deputati hanno aperto anche in Italia le porte all’eutanasia
Approvato alla Camera dei deputati, ieri 20 aprile, in tarda serata, la discussa legge sul testamento biologico. Con 367 presenti (gli altri 263 non erano probabilmente interessati a questioni di vita o di morte…), 326 sì e 37 no, i deputati hanno aperto anche in Italia le porte all’eutanasia.
“Con questo voto, che spero possa presto trovare analogo riscontro in Senato, la cultura dei diritti civili fa un altro passo avanti nel nostro Paese. E la politica mostra che il ritardo nei confronti della società e delle sue domande può essere colmato” è lo sconcertante commento della Presidente della Camera Laura Boldrini.
Il testo di legge, di cui abbiamo parlato più volte, anche recentemente è composto da diversi articoli ed ha subito vari emendamenti, anche all’ultimo minuto. Ma vediamo cosa prevede il testo approvato ieri.
La legge sull’eutanasia, all’art. 1, “tutela il diritto alla vita, alla salute, ma anche il diritto alla dignità e all’autodeterminazione” (un po’ come la legge 194 sull’aborto, che inizia, incredibilmente, con la frase: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”); prosegue poi con concetti in linea di massima condivisibili: il paziente deve essere informato e prestare il proprio consenso per i trattamenti sanitari cui dovrebbe sottoporsi (cosa che, del resto, è già prassi consolidata). Meno condivisibile è invece la modifica introdotta al testo base, in cui si equipara l’idratazione e la nutrizione ad un trattamento medico, essendo veicolata attraverso strumenti sanitari. Come se bere attraverso una cannula piuttosto che dal bicchiere faccia davvero differenza.
Ma il vero “cuore” (perdonate l’uso palesemente improprio della parola) della legge (dove non c’è scritta la parola “eutanasia”, ma dove c’è l‘eutanasia passiva…) si manifesta nell’articolo 3 e seguenti, in cui si introducono le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT): “Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali. Indica altresì una persona di sua fiducia, di seguito denominata fiduciario, che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.”
Sarebbe interessante a questo punto immaginare un modello di DAT: un tabellone con migliaia di righe comprendenti tutti i “trattamenti sanitari” e “scelte diagnostiche” possibili ed immaginabili, e migliaia di colonne indicanti le condizioni di disabilità in corrispondenza delle quali il trattamento è accettato o rifiutato. Tutto questo sottoscritto in un momento in cui il “paziente” potrebbe godere di perfetta salute. Probabilmente neppure un medico sarebbe in grado di predisporre un documento del genere (né avrebbe senso farlo).
La conseguenza? Il DAT sarà un semplice foglietto in cui una persona sana scriverà: “nel caso in cui dovessi essere incapace di intendere e volere, vi chiedo gentilmente di praticarmi l’eutanasia lasciandomi morire di fame e sete se necessario (qualcuno lo scriverebbe apertamente?)”. Tutti i nobili principi dell’autodeterminazione, del consenso informato, delle libere scelte terapeutiche si arenano così inesorabilmente di fronte all’ovvia considerazione che un paziente non è in grado di decidere quali trattamenti siano proporzionati al suo stato e alle sue aspettative di vita, men che meno anni prima che si manifesti una patologia. Questa scelta non può che essere presa dal medico, certamente in condivisione con il paziente, ma non certo nei termini perentori indicati dalla legge. Già, perché il medico è tenuto a rispettare le DAT e a praticare l’eutanasia omissiva, a prescindere da quanto egli ritenga ragionevole la decisione del paziente.
Un emendamento dell’ultima ora ha ampliato la tutela della libertà del medico, introducendo una sottospecie di obiezione di coscienza, seppur blanda e indiretta: qualora le richieste del paziente siano “contrarie alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali”, il medico può decidere di non assecondare le DAT “senza obblighi professionali”, sibillina frase che, per i più, significa “senza che ne debba rispondere civilmente o penalmente”.
Stessa cosa “qualora sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione [delle DAT, n.d.r], capaci di assicurare possibilità di miglioramento delle condizioni di vita”. Cioè al tabellone è sfuggita qualche riga. In questo caso però la decisione va presa di comune accordo con il fiduciario e, in caso di disaccordo, da un giudice (ed è già possibile passare idealmente in rassegna la galleria di cause ideologiche portate avanti dai sostenitori della “dolce morte” sulla pelle dei malati).
A questi spiragli di apertura verso l’obiezione di coscienza dei medici (seppur mai richiamata espressamente per non ferire nessuno), si contrappone un secco “no” a concedere a strutture sanitarie private convenzionate (si pensi ad esempio a quelle cattoliche) l’esonero dall’applicazione delle “norme non rispondenti alla carta di valori su cui fondano i propri servizi” (come inizialmente proposto). Al contrario il comma 9 dell’articolo 1 ribadisce che le strutture sanitarie dovranno organizzarsi per “la piena e corretta attuazione dei princìpi di cui alla presente legge”; ossia dovranno trovare medici disposti a far morire i pazienti di fame e sete se richiesto anni prima nei DAT o da un fiduciario. L’obiezione di coscienza per i dirigenti ospedalieri non è prevista.
Ma nonostante queste decise prese di posizione contro l’obiezione di strutture sanitarie, chi ha portato da tempo avanti una battaglia in favore dell’eutanasia, come Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, nonché accompagnatore di DJ Fabo al suicidio assistito in Svizzera, tuona: “Si parla di situazioni di emergenza, dove il tempo è tutto e dove l’ostilità del medico o di una struttura potrebbero portare alla negazione di diritti che nessuna sentenza potrà più far tutelare” [Perché tanta fretta? per paura che il malato ci ripensi? ndr]. Ogni commento pare superfluo in una frase in cui si definisce “ostilità” il desiderio di non lasciar morire e “diritto” la rinuncia alla vita e in cui non si vede l’ora di “completare l’opera”.
Al momento sono stati rigettati gli emendamenti proposti dal M5S, che chiedeva l’eutanasia attiva, ossia la somministrazione di veleno a chi ne faccia richiesta. Ma non dubitiamo che presto la proposta tornerà e sarà sempre più difficile ostacolare lo scivolamento della sfera sul piano inclinato.
Prossimamente il testo passerà al Senato, in cui la maggioranza è meno schiacciante. Noi continueremo comunque a lottare perché alla fine la legge sia rigettata, il buon senso prevalga e si continui a regalare, a chi si trova nel momento peggiore della propria esistenza, una speranza di vita e non una promessa di morte.
Giuseppe Fortuna
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