"Guardare a Giuseppe vuol dire scoprire i lineamenti costitutivi dell'esperienza cristiana con quel discernimento che permette di capire quali siano le scelte più importanti da attuare". L'omelia della Domenica.
Dio è fedele. Dio non ci ha salvati provvisoriamente, ma definitivamente.
E la prova di questa salvezza fedele, definitiva, è Gesù. È Lui il ‘segno’ della fedeltà di Dio, è Lui il ‘segno’ stabile dell’amore di Dio per noi. Quando tu fai l’esperienza dell’essere amato definitivamente, allora sei in grado di vivere nella speranza e nell’amore.
Carissimi amici, è questo il messaggio che la Parola di Dio di oggi, quarta domenica di Avvento, vuole trasmetterci. Siamo vicinissimi al Natale e la Parola ci invita a riconoscere questo segno, a mettersi in collaborazione con un Dio che merita la fiducia perché ama definitivamente e non provvisoriamente.
Insisto su questo perché la provvisorietà è la malattia di oggi! La cultura in cui siamo inseriti è la cultura del provvisorio, siamo sotto la pressione di questa modalità di vita, siamo tentati continuamente da un mondo che ci educa alla superficialità. Papa Francesco direbbe che tutto questo non va con Gesù!
Ebbene dobbiamo accogliere l’amore di Dio, collaborare con lui, per fare l’esperienza straordinaria di un Dio che si fa nostro compagno di viaggio.
Chi ha accolto questa proposta non è mai rimasto deluso!
Nella figura di Giuseppe ci è dato un modello di autentica collaborazione con il progetto di Dio. Il percorso che le letture vogliono farci compiere è questo.
Nella prima lettura il re Acaz non vuole chiedere un segno, perché dovrebbe poi fidarsi di Dio. Ma Dio prende ugualmente l’iniziativa. Il figlio che nascerà dalla giovane moglie del re sarà il segno che Dio è presente nelle vicende del suo popolo.
Nella seconda lettura Paolo, nell’inizio della lettera ai Romani riassume le grandi tappe della storia della salvezza. L’incarnazione di Gesù, della stirpe di Davide e Figlio di Dio, sta fra le promesse antiche e il loro compimento che avverrà alla fine dei tempi.
Nel Vangelo infine, ci viene presentata la cosiddetta ‘Annunciazione’ a Giuseppe. Un uomo silenzioso: ascolta con fiducia, accetta il mistero, cioè l’opera di Dio che si sta rivelando, e compie con semplicità quanto gli viene chiesto. A Dio, che gli domanda di entrare nella sua esistenza, non chiude la porta.
Nel versetto che precede il testo di oggi e che segna la conclusione della genealogia di Gesù, ci viene offerta la chiave di lettura teologica del Vangelo proposto: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo» (Mt 1,16). In realtà il testo greco non dice dalla quale è nato Gesù, ma dalla quale è stato generato Gesù. Una differenza non da poco perché, ci dicono gli esperti, si tratta della forma verbale detta passivo divino, un artificio letterario impiegato spesso nella Bibbia per attribuire un’azione a Dio, senza citarlo per nome. Cosa vuole dirci con questo l’evangelista? Per comprenderlo dobbiamo rifarci alla mentalità e alla cultura del mondo semitico dove non si sapeva che, alla nascita di un bambino concorrevano il papà e la mamma. Si pensava che solo il papà generasse e la mamma si limitasse a custodire, far crescere in grembo e poi dare alla luce il figlio che era tutto del padre. Ecco perché nella genealogia di Matteo ricorre continuamente il verbo generare, sempre attribuito ai maschi e impiegato all’attivo: Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli … Giunto a Giuseppe l’evangelista interrompe la cadenza e introduce il passivo divino. Giuseppe non genera, Giuseppe è lo sposo di Maria, dalla quale è stato generato Gesù, chiamato il Cristo. Gesù, chiarisce Matteo, non è stato generato da Giuseppe, ma da Dio. Questa è la confessione di fede nella divinità del figlio di Maria. Matteo riprende questa confessione e il brano di oggi comincia proprio con questo atto di fede: «Così fu generato Gesù Cristo». Poi, per coinvolgerci sempre più nella scoperta dell’identità del Figlio di Dio continua raccontando l’annunciazione a Giuseppe.
In questo modo si vuole comunicare questa verità: la vita sbocciata nel grembo di Maria non è quella di un bambino come gli altri, è quella del Figlio di Dio.
Giuseppe in tutto questo è il vero modello di obbedienza, biblica. Anche lui non rinuncia alla sua intelligenza (anche Maria aveva chiesto come sarebbe avvenuto tutto questo!), rimane turbato e attende che Dio gli riveli con maggiore chiarezza quale compito era chiamato a svolgere nel disegno divino. E difatti, nonostante le incertezze del momento e le ovvie incomprensioni, fa come gli ordina l’angelo e prende con sé la sua sposa. Diventa così l’emblema di fedeltà e di disponibilità.
Per questo il papa Giovanni Paolo II ha chiamato Giuseppe «Maestro di vita interiore». Scrive nella sua riflessione Redemptoris custos: «Giuseppe appartiene alla famiglia di quei piccoli del vangelo che sono umili e discreti, non occupano molto spazio, si muovono con leggerezza, sono creature che, mentre vivono nell'ombra, esprimono una luce interiore che rende meravigliosa la loro presenza».
Questo atteggiamento ci aiuta a conoscere un’altra dimensione della figura di Giuseppe: Giuseppe era un uomo «giusto». Giuseppe è un giusto, cioè un uomo che custodisce in sé il pensiero di Dio ed esprime una fedeltà incondizionata a Dio. Come abbiamo detto, non che umanamente capisca tutto quello che gli è richiesto, ma è capace di ascoltare e di adorare. Giuseppe è un "uomo giusto" perché la sua esistenza è, se così si può dire, ‘aggiustata’ sulla parola di Dio. Se Maria accoglie il ‘Verbo’ nella sua carne, Giuseppe lo accoglie nella sua vita. Giuseppe è l'uomo della ferialità delle situazioni e al tempo stesso il grande contemplativo che si fa obbediente allo svelarsi di un progetto che viene da Dio.
Guardare a Giuseppe vuol dire scoprire i lineamenti costitutivi dell'esperienza cristiana con quel discernimento che permette di capire quali siano le scelte più importanti da attuare. Giuseppe, uomo della notte, del silenzio e dei sogni, è maestro della vita interiore.
«Anche sul lavoro di carpentiere nella casa di Nazaret si stende lo stesso clima di silenzio, che accompagna tutto quanto si riferisce alla figura di Giuseppe. È un silenzio, però che svela in modo speciale il profilo interiore di questa figura. I Vangeli parlano esclusivamente di ciò che Giuseppe «fece»; tuttavia, consentono di scoprire nelle sue «azioni», avvolte dal silenzio, un clima di profonda contemplazione» (Giovanni Paolo II).
Carissimi amici, vorrei suggerire a tutti di prepararsi al Natale contemplando l’esempio di san Giuseppe, uomo di straordinaria accoglienza e disponibilità.
Come lui bisogna conquistare spazi di silenzio per conoscere più chiaramente quello che Dio vuole
Come lui bisogna non chiudere la porta e far entrare Dio nella nostra esistenza.
Come lui bisogna fidarsi di Dio e ‘aggiustare’ la nostra vita sulla Parola di Dio.
Come lui bisogna diventare ‘custodi’ della vita di Gesù in noi, nella vita dei nostri fratelli e delle nostre comunità.
Così sarà un vero Natale, così non saremo delusi, così entreremo nella definitività dell’amore Dio che vince ogni nostra provvisorietà!
Ci può aiutare anche questa ultima esortazione di San Josèmaria Escrivà:
«Maestro di vita interiore, lavoratore impegnato nel dovere quotidiano, servitore fedele di Dio in continuo rapporto con Gesù: questo è Giuseppe. Andate da Giuseppe. Da Giuseppe il cristiano impara che cosa significa essere di Dio ed essere pienamente inserito tra gli uomini, santificando il mondo. Frequentate Giuseppe e incontrerete Gesù. Frequentate Giuseppe e incontrerete Maria, che riempì sempre di pace la bottega di Nazaret» (San Josèmaria Escrivà).
Buon cammino e buon Natale a tutti!
don Carlo Maria Zanotti
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