Educare alla fede gli adolescenti con i doni dello Spirito La fede non nasce per generazione spontanea, o come semplice dono dall'alto! Pur restando un «dono» di Dio, essa viene in qualche modo trasmessa con la vita fisica e dovrebbe crescere con essa e in essa.
In questo primo intervento introduciamo il tema evidenziando la relazione tra «educazione-pastorale degli adolescenti» e specifico «cammino di fede», a cui segue un riferimento catechetico sul dono della «sapienza».
Le riflessioni educative riguardano la vita dei ragazzi, sia che abbiano già ricevuta la confermazione o che si stiano preparando a riceverla. Mettiamo a confronto ciò che offre il dono dello Spirito e ciò che questo dono suppone come sviluppo della persona in crescita.
Trattandosi di una «collaborazione» (in questa senso va visto il rapporto educativo) tra l’impegno dell’uomo e i doni di Dio, la riflessione educativa, mentre riconosce la trascendenza del dono, si domanda come favorirne l’accettazione, aiutando i ragazzi a prendere coscienza del loro valore vitale corrispondente. In sintesi, l’educazione mira a far dialogare la vita (come dono-creato affidato alla responsabilità personale) con i doni gratuiti dello Spirito Santo.
CHE COSA COMPORTA L’EDUCARE ALLA FEDE
Affermano i vescovi (cf Documento CEI, «Educare i giovani alla fede», 27 febbraio 1999), che «il cammino della fede si identifica con quello della vita». La fede non nasce per generazione spontanea, o come semplice dono dall’alto! Pur restando un «dono» di Dio, essa viene in qualche modo trasmessa con la vita fisica e dovrebbe crescere con essa e in essa.
Rapporto tra educazione della vita e doni dello Spirito
Volendo perciò stabilire un rapporto tra le due dimensioni «vita-fede» (che si dovrebbe tradurre in «vita di fede» dal momento che la rivelazione non ammette fratture) potremmo dire che l’educazione alla vita sta come l’educazione alla fede, e cioè «alla vita di fede». In tale rapporto, il termine che rende unitaria nella vita del credente l’esperienza della fede è la parola «vita». Vita di cui ciascuno è portatore dalla nascita, per cui ha il compito-vocazione per farla crescere, realizzando in essa un progetto che per il cristiano deve corrispondere al disegno di Dio: «salvare la propria vita». Infatti Cristo viene a confermare il principio che egli «è venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
L’educazione, vista in se stessa, è un processo situato nell’ambito della cultura (la natura umana storicamente collocata) e mira all’assimilazione dell’insieme di quei valori umani che portano a una progressiva maturazione personale. L’educazione ha perciò una sua intrinseca legittimazione che non va strumentalizzata né manipolata, neppure in vista della trascendenza del dono della fede. Deve tendere a promuovere il battezzato-cresimato verso la maturazione della sua personalità cristiana, organizzando un processo che si snoda lungo il graduale e umano cammino della crescita evolutiva.
L’educazione quindi mira a sviluppare i dinamismi interiori della persona, a renderne più responsabile la libertà in vista dell’identità personale da costruire (cioè il progetto di vita), facendo riferimento alla sua coscienza, alla sua autenticità umana, alla sua dimensione sociale e relazionale. Più che inquadramento normativo, il processo educativo implica un serio cammino di personalizzazione, necessariamente graduale e progressivo, fatto in collaborazione tra educatore ed educando, non riducibile né a semplice metodo né a miracolo trascendente.
L’evangelizzazione invece è ordinata di per se stessa a trasmettere e coltivare la fede cristiana; appartiene all’ordine degli eventi della salvezza che provengono dalla presenza di Dio nella storia, realizzata pienamente da Gesù Cristo, attraverso i doni e la presenza dello Spirito. Essa, pur trascendendo l’ambito delle realtà terrestri, si realizza in un’azione che tende a storicizzarsi, incarnandosi nella vita delle persone.
Perciò l’educazione alla vita di fede tende a rendere consapevole che il mistero di Gesù Cristo (uomo-Dio) non è un’alternativa all’uomo (perché Cristo è un uomo diverso), ma è un mistero che assume l’umano, promuovendolo alla salvezza in tutta la sua realtà (= rendendolo cioè uomo nuovo).
L’intenzionalità dell’azione evangelizzatrice esige quindi una sensibilità educativa, vista in prospettiva antropologica. È un’azione in se stessa aperta e rivolta all’educazione, perché evangelizzare non comporta solo istruire nelle verità (conoscenza della verità rivelata), ma formare il credente alla sequela di Cristo.
Per poter incidere sulla realtà viva dei ragazzi, l’educatore-evangelizzatore deve far compenetrare in reciprocità gli apporti dell’educazione e le ricchezze dell’evangelizzazione, in una mutua circolarità, senza dissolverli concettualmente l’uno nell’altro, ma aiutandoli a farli convergere nell’attività pedagogico-pastorale rivolta in modo armonico all’unità interiore della persona che cresce.
In tale prospettiva crediamo che la pastorale giovanile promuova una evangelizzazione che passa attraverso la scelta educativa: l’evangelizzare educando e l’educare evangelizzando. Il rapporto richiede agli evangelizzatori di essere esperti nella conoscenza dei valori personali e culturali per promuoverli, in modo da renderli disponibili ad accogliere i valori della fede. È il modo per superare il dramma del dissidio tra vangelo e cultura (EN 14), ristabilendo un ponte valido e ampio tra processo educativo e proposta di fede.
Alla luce di questa proposta metodologica, ci si deve domandare che cosa significhi, allora, educare alla vita di fede gli adolescenti con i doni dello Spirito.
La risposta è che l’animatore deve assumere nella sua azione pastorale i valori della crescita in umanità degli adolescenti organizzandoli in un processo di personalizzazione; tale crescita umana è vera e integrale solo se rapportata oggettivamente all’evento storico di Cristo «Figlio di Dio fatto uomo», che per far realizzare la piena umanità di ogni uomo/donna, assicura la presenza santificatrice del suo Spirito che agisce nella vita attraverso i suoi doni accettati nella fede.
Si legge nella lettera Juvenum patris: «S. Giovanni Bosco è attuale, perché insegna ad integrare i valori permanenti della tradizione con le ‘nuove soluzioni’, per affrontare creativamente le istanze e i problemi emergenti: in questi nostri tempi difficili egli continua ad essere maestro, proponendo una nuova educazione che è insieme creativa e fedele» (n. 13).
Il rapporto educazione-evangelizzazione va inteso allora non come una connessione parallela tra i due termini e il loro significato, né come giustapposizione dei due valori (cioè l’umano e il divino), né come posizione diacronica (prima educare umanamente e poi rivelare i doni della fede); ma pur tenendo distinti i due termini (e i significati), bisogna farli dialogare nella vita concreta dei ragazzi. Il loro rapporto deve essere interpretato come un’integrazione armonica nell’organica complementarità delle diverse dimensioni dell’io che cresce.
Le due azioni (educazione e infusione del dono dello Spirito) sono distinte ma operano entrambi sull’unità organica della persona: sono due modi complementari di occuparsi di ogni uomo e sono fatte per collaborare nella crescita unitaria della persona. La motivazione di tale complementarità non è pedagogica ma teologica, perché la grazia rende perfetta la natura.
Il significato del «nuovo» nella prassi educativa
Diventa così possibile un’applicazione del processo educativo della fede relativa ai doni dello Spirito con cui gli adolescenti potranno vivere e operare con fiducia per il Regno, nello sforzo di coniugare esperienza personale di vita e annuncio specifico della proposta di fede ad essa relativa.
La riscoperta dei doni dello Spirito può portarli a sperare che ciò che essi desiderano profondamente (visione psicologica della loro crescita) verrà realizzato, e ciò a cui nel mondo aspirano (nella visione socioculturale della vita) verrà compiuto. Ne emergono applicazioni per l’educazione alla vita di fede. Lo Spirito lo attesta e se ne fa garante. Il ragazzo può dunque crescere in misura che egli non potrà neppure calcolare.
Perciò i doni dello Spirito costituiscono un programma educativo e catechistico con contenuti, itinerari, metodo. L’animatore condivide e accompagna l’acquisire di una visione delle cose e della vita in prospettiva unitaria, aiuta ad affrontare con saggezza la progettazione della loro esistenza conforme ai grandi valori. Questi doni, coscientizzati attraverso l’impegno educativo, si radicano nella crescita umana e la illuminano, Per questo i doni dello Spirito non possono essere spiegati né applicati in maniera separata, cioè tra vita (come compito) e fede (come dono); devono trovare un’integrazione.
Alla luce di questa visione unitaria della vita di fede, la riflessione sui singoli doni intende descrivere i principi pedagogici relativi alla educazione della vita (i dinamismi della crescita umana degli adolescenti) con i doni crismali che abilitano i credenti a diventare più «maturi» nella fede, senza saltare la tappa della maturità umana.
In questa prospettiva sarà fatta l’applicazione storicizzata, nella vita degli adolescenti, col rapporto tra educazione ed evangelizzazione, senza ignorare il dialogo tra le due realtà e operando in modo che il dono di Dio trovi un aggancio significativo nella esperienza umana, relativa ad ogni singolo dono.
Il processo educativo, che emerge da tale rapporto, ci induce a pensare almeno a due tipi di novità: credere, da un lato, che i valori positivi presenti nella vita rappresentano una crescita dell’uomo e dell’umanità, perché si riferiscono all’essere umano come valore primario, sottolineandone la soggettività (attraverso la presa di coscienza, la libertà, il protagonismo); dall’altro, questa «coscienza antropologica» deve far sentire il bisogno di essere rapportata più autenticamente a Cristo, perché deve avvertire che essa non ha in sé tutte le ragioni della sua dignità e tutte le capacità per dare senso alla sua vita nella storia.
È necessario però che l’animatore si convinca, da un lato, che l’educazione deve essere evangelicamente ispirata fin dall’inizio del suo progetto, nel senso che l’uomo è visto nella sua identità che corrisponde al piano di Dio; e deve trovare nel messaggio evangelico dei doni dello Spirito il suo significato integrale e una ragione di forza in più; dall’altro, che l’annuncio dei doni dello Spirito richiede già dal primo momento di essere opportunamente adattato alla condizione evolutiva del soggetto e orientato verso l’uomo vivente, trovando la sua piena efficacia anche in approcci pedagogici.
Educazione come processo che fa sviluppare i doni
La prassi educativa, richiesta dall’animazione pastorale, deve così apparire come un intervento con gli adolescenti che faciliti in essi la coscienza unitaria delle diverse dimensioni o livelli della vita umana, portandoli all’unità interiore:
– il livello personale: porta alla scoperta-presa di coscienza dei «doni della vita» nella propria persona, che fanno da substrato (cioè il piano della creazione) ai doni della fede con cui si collocano in continuità esistenziale (cioè il piano della redenzione);
– il livello culturale: porta a raccordare nella vita attuale dell’adolescente il passato e il presente, la tradizione e l’attualità;
– il livello sociale: porta ad operare negli adolescenti un rapporto tra partecipazione ecclesiale e ambiente civile, nella dimensione della relazionalità e della comunione, e in vista della testimonianza della fede;
– il livello operativo: coniuga i diversi elementi-valori che entrano nella formazione del cristiano: l’istruzione (le necessarie conoscenze della verità di fede), l’addestramento in esse (come esperienze da vivere), l’educazione (i processi che portano alla maturazione umana della persona), l’evangelizzazione (che, assumendola, la trasforma in una sintesi cristiana);
– il livello metodologico: vede l’educazione come coinvolgimento di tutti i responsabili del processo di crescita degli adolescenti, che intervengono simultaneamente sui singoli, sui gruppi, sulle masse.
L’educazione è perciò un processo dinamico impegnato ad adeguarsi continuamente al divenire sia degli adolescenti che della cultura in cui sono inseriti. Offre all’evangelizzazione una lettura esistenziale dei valori umani da permeare, perché diventino veicolo del cammino storico verso la salvezza; approfondisce la natura specifica dell’uomo, voluta dal creatore con propria consistenza e finalità (caratteristiche costitutive, capacità relazionali, spazio temporale della sua storia); fa percepire il senso realista della gradualità del cammino, aiutando a programmare gli itinerari, progressivi e differenziati, adatti alle reali esigenze delle persone; svolge una funzione critica positiva riguardo a certe modalità di evangelizzazione che possono peccare di ingenuità, di astrazione o di evasione; sa stimolare l’indispensabile coscienza che non prescinde mai dalla fondamentale positività dei valori autenticamente umani.
Educare evangelizzando significa soprattutto non dimenticare nella prassi educativa ed evangelizzatrice l’unità interiore della persona nei confronti delle diverse esperienze di vita:
– non precludersi aperture a chi indica con chiarezza e oggettività la finalità suprema della vita umana (l’uomo nel piano di Dio);
– fondarsi su un’antropologia che non escluda l’evento storico di Gesù Cristo, l’uomo veramente riuscito;
– trovare nel vangelo quegli aiuti che stimolino la maturazione della libertà e della responsabilità, che offrano un sostegno nella ricerca di identità e di senso, che siano una guida illuminante per la formazione della coscienza, che si presentino come modello sublime per l’autenticità dell’amore, che delimitino un orizzonte chiaro e più impegnativo per la dimensione sociale della persona, che indichino una più vasta modalità di servizio nel comune cammino verso il regno.
Evangelizzare educando significa mirare alla formazione di credenti consapevoli che la rivelazione non è proprio maturazione umana o risposta esplicita a situazioni problematiche, ma iniziativa di Dio, dono, interpellanza, vocazione, domanda... In particolare, il processo si fa promotore di una crescita della fede, caratterizzata dalla dimensione sociale della carità per l’avvento di una cultura della solidarietà, perché:
– cura il consolidamento della comunione e della partecipazione ecclesiale, inserendo in una comunità cristiana concreta (attraverso una pastorale giovanile accogliente e mirata);
– dà priorità al coinvolgimento attivo e responsabile degli adolescenti, privilegiandoli come persone e coinvolgendoli come protagonisti del cammino di fede e artefici dell’intervento nella vita sociale;
– stimola l’aumento della sensibilità verso gli evangelicamente «ultimi»;
– ravviva una maggiore conoscenza del mondo e sa coinvolgere con più responsabilità nell’azione missionaria della Chiesa.
Gli atteggiamenti dell’animatore della pastorale giovanile
Chi ha il compito di essere educatore e pastore, deve impegnarsi ad aggiungere, alla sua necessaria competenza pedagogica e pastorale, l’acquisizione di alcuni atteggiamenti che alla lunga diventano facilitanti il compito educativo e pastorale:
– la carità pastorale. Si tratta di un atteggiamento spirituale che è simultaneamente spinta pastorale e intelligenza educativa. È la condizione di base che ingloba il concetto legato alla parola «amorevolezza», e consiste nel costruire fiducia, dare confidenza, offrire amicizia attraverso l’esigente ascesi del «farsi amare», vivere una specie di paternità spirituale;
– la solidarietà col mondo giovanile. Gli adolescenti sono soggetti attivi del loro processo di crescita, e devono sentirsi protagonisti dell’opera da realizzare. L’atteggiamento della solidarietà richiede una specie di patto educativo oggi molto importante, per le carenze dell’ambiente familiare, scolastico e sociale;
– la costante perseveranza. Il dinamismo della prassi educativa e pastorale si regge sulle energie (umano-divine) con cui si tende alla realizzazione del progetto di vita dei ragazzi, senza stancarsi, senza desistere per difficoltà incontrate, senza lasciarlo incompiuto nelle tappe intermedie, senza dimenticare il fine ultimo. La sequela di Cristo è intrinseca alla natura dell’uomo e suppone una convinzione che non si accontenti dell’efficientismo (dei soli mezzi) o relativizzi l’esperienza religiosa (vanificando il fine ultimo dell’educazione cristiana);
– la preventività. È l’arte di educare in positivo. Propone i beni-valori con esperienze adeguate e sconvolgenti, capaci di attrarre per la loro nobiltà e bellezza. È la capacità di far crescere i soggetti dal di dentro, facendo leva sulla loro libertà interiore, contrastando i condizionamenti e i formalismi esteriori, conquistando il cuore, invogliando con gioia verso il bene e correggendo le deviazioni;
– la capacità di sintesi. In quest’opera preventiva intervengono pedagogia e fede in modo concreto: insistenza graduale, revisioni periodiche e incoraggiamenti stimolanti, umiltà e realismo, aiuti dell’ordine naturale e soprannaturale.
Le tappe del processo educativo della fede
Il processo educativo, relativo alla vita dei fede degli adolescenti e in ordine ai doni dello Spirito infusi col sacramento della Confermazione, richiede un impegno degli educatori che porti a:
– unificare in un’unica visione «ragione» e «religione», che devono convergere per far maturare la personalità del soggetto, assicurando contemporaneamente luci alla mente e mezzi alla volontà. Qui disimpegna un ruolo speciale l’interazione tra educazione ed evangelizzazione come convergenza tra natura e grazia, tra cultura e vangelo, tra vita e fede;
– impegnare una particolare inventiva al tempo libero, che si deve tradurre in spessore educativo. È la tipica esperienza formativa «oratoriana» che non va contro l’educazione formale e le sue istituzioni, ma le precede e spesso le richiede e, in ultima analisi, le permea infondendo in esse un peculiare carattere coinvolgente;
– far occupare, in questa prassi oratoriana, uno spazio privilegiato ai gruppi di ragazzi con la loro varietà di espressione; in essi si favorisce la comunicazione interpersonale e il protagonismo. Di fatto i gruppi costituiscono spesso l’unico elemento strutturale per accedere ai valori dell’educazione e dell’evangelizzazione;
– caratterizzare l’attività pedagogico-pastorale con un sano realismo nella concretezza della vita sia sociale che ecclesiale. Per la prassi, una buona teoria è necessaria, ma non basta. Occorre acquisire abilità operative e relazionali, spirito di iniziativa, sincera capacità di sacrifici piccoli e grandi, inclinazione personale al lavoro con senso di responsabilità, apprendimento di servizi e di mestieri.
La praticità come addestramento s’interessa di far esercitare i giovani in concreti atteggiamenti sociali ed ecclesiali, favorendo la maturazione della persona, aprendola, con modalità vissute, verso il bene comune e verso l’esperienza di fede.
Giuseppe Morante
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