È bene dare nomi e volti a chi, in questa nostra strana Italia, sta morendo di fame. Come sempre è il Meridione a soffrire di più questa crisi disastrosa le cui conseguenze possiamo solamente immaginare...
È bene dare nomi e volti a chi, in questa nostra strana Italia, sta morendo di fame.
Come sempre è il Meridione a soffrire di più questa crisi disastrosa le cui conseguenze possiamo solamente immaginare. A me non piace sparare a zero contro chi sta in alto. So bene che un conto è parlare e protestare, altra cosa è governare. So altrettanto bene che non una ma mille cause sono all’origine di questa situazione catastrofica. Sono un testimone diretto di ciò che avviene nella mia regione e credo sia mio dovere dare voce ai poveri che non riescono a farsi sentire.
Ragioniamo. Un uomo perde il lavoro che ha da sempre svolto. Trovarne un altro è impensabile. Il piccolo gruzzolo messo da parte in tanti anni presto, se ne va in fumo. I giorni passano. I figli vogliono mangiare. L’inverno rigido gela le case. I bambini debbono andare a scuola. Il fitto e le bollette arrivano puntuali. Che fare? Di sperare quest’uomo non ha smesso mai. Il primo pensiero corre ai servizi sociali. Va. Si mette in fila. Chiede. Inutilmente. Ritorna. Vince la vergogna. Non vuole l’elemosina, cerca un lavoro. Un lavoro che non c’è. Comincia allora il giro delle chiese. Le nostre chiese.
In questi luoghi benedetti qualcosa si trova sempre. Ma la gente è tanta. Quel poco che si ha deve essere diviso e suddiviso. Bastano due-tre pigioni arretrati, una bolletta non pagata per allontanare il sonno. In casa si mangia male. Pasta e pane. Pane e pasta. Ci si ammala prima. I nostri ospedali sono al collasso. La medicina costa. Non ci si cura. Al contrario ci si trascura. Ma l’organismo non dimentica e prima o poi presenta il conto.
A Pina i servizi sociali hanno tolto Stefania, la figlia di dieci anni. Lei, la piccola, è al sicuro in una casa famiglia. Pina vive per la figlia. Stefania vuole stare con la mamma. Unico problema: la casa che non hanno. Mamma e figlia soffrono tantissimo, ma per adesso è impensabile vederle unite. Marilena, quasi 40 anni, ha già due figli, quando un terzo comincia a fare capolino. Suo marito da due anni non lavora. Marilena è terrorizzata al pensiero di un altro figlio da accudire. Unica soluzione che intravede: l’aborto. Marilena non lo vorrebbe fare, è sempre stata contraria. Ci facciamo avanti e promettiamo assistenza e aiuti. Marilena ha paura. Tanta paura. Vede solo nero. Alla fine ci chiede di lasciarla sola. Nostro malgrado, siamo costretti a farlo. Quel bambino è stato gettato via e sua madre non lo dimenticherà mai più.
È successo l’altra sera in chiesa. Una donna dignitosa e triste chiede di parlarmi. Viene dal paese che confina con il mio. Ha fatto la strada a piedi. Intuisco il motivo per cui mi cerca. Vorrei evitarle ulteriori mortificazioni e le dico che un piccolo aiuto c’è per tutti. Che deve avere fiducia perché di certo questo tempo finirà. Dovrà pur finire. Intanto qualcosa da mangiare si trova sempre. «No, padre. Non voglio il cibo, ne possiamo anche fare a meno. Mi perdoni se oso avanzare questa richiesta a lei che è un sacerdote. Alle mie figlie, ormai adolescenti, manca anche il necessario per… la loro igiene intima…». Abbassa la testa per la vergogna. Faccio altrettanto. Mi affaccio alla porta della sagrestia. Intravedo Anna e ringrazio Dio. Gliel’affido. Tra donne si comprendono meglio e con meno imbarazzo.
Gennaro aveva già sbagliato e pagato il conto con la giustizia. Uscito dal carcere ha fatto di tutto per non ritornarci. Ha due bambini, Gennaro. Alla fine ha sbagliato ancora ed è ritornato nel luogo che odia. Oggi è sulle spalle degli italiani mentre i suoi bambini sono sulla coscienza mia e dei nostri governanti. Biagio è stato operato da qualche mese. Gli hanno asportato lo stomaco con il cancro che lo aveva invaso a tradimento. È diventato magro come un grissino. I medici gli hanno consegnato la dieta da osservare. Arriva in chiesa che a stento si mantiene in piedi. «Come faccio, padre? Questa roba costa tantissimo… Non ne ho per molto ma non posso mangiare, non digerisco il cibo normale…». Un sorriso. Una pacca sulla spalla. «Sta tranquillo, Bia’… Ci pensiamo noi. È un lusso che ci possiamo permettere. Tu pensa solo a guarire in fretta…».
Non si può continuare in questo modo. Occorre ritornare alla normalità. Senza eroismi e senza ipocrisie. E non nascondendoci una terrificante verità e cioè che è proprio in questa palude di vecchie e nuove povertà che quella camorra onnivora che tanti, a parole, vorrebbero sconfiggere, trova il terreno di coltura per meglio radicarsi per il futuro.
Maurizio Patriciello
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