Il complesso del figliol non prodigo

Su chi non riesce a digerire l'«ossessione» di Papa Francesco per le «pecorelle smarrite» (che mica si possono convertire davvero).

Il complesso del figliol non prodigo

 

«Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso!».

 

Così, nel Vangelo di Luca, si sfoga il fratello maggiore del figliol prodigo. Trova inspiegabile che il padre faccia festa per il ritorno a Canossa di quel cialtrone, un po' paravento, di suo fratello. In una scena cinematograficamente assai efficace, lo vediamo mentre, livido di rabbia, osserva torvo i festeggiamenti per il figliol prodigo e un'insana gelosia si fa strada nel suo animo. Secondo lui, forse, papà non doveva neanche farlo rientrare a casa. Figurati se era il caso di fare tutta questa baldoria per l'interessato ravvedimento di quello scialacquatore di eredità.

Il suo è il complesso del figlio maggiore o del figliol 'non prodigo'. Un complesso da tempo estremamente diffuso nella comunità cattolica, ma ora evidenziato dall'ossessione di Papa Francesco per il recupero delle 'pecorelle smarrite'. Fissazione che si spiega forse con il fatto che Bergoglio ha la mania di leggere il Vangelo. Ed è altrettanto convinto (vedasi il n° 154 della Evangelii Gaudium) che il pastore debba mettersi in ascolto del popolo. E che il suo popolo sia potenzialmente molto esteso.

 

Così capita che il Pontefice faccia pubblicare un 'documento preparatorio' per il prossimo Sinodo straordinario, in cui si chiede ai fedeli quanti tra i divorziati e risposati vorrebbero accedere ai sacramenti. Affermi che la situazione dei figli cresciuti in contesti familiari non tradizionali sia una sfida educativa prioritaria per la Chiesa. Decida di includere fra i battezzati in Cappella Sistina, il giorno del battesimo del Signore, una bimba che non è figlia, come vorrebbe la tradizione, di dipendenti vaticani e i cui genitori non sono sposati in Chiesa. Circostanza abituale in molte parrocchie ma che ancora fa storcere il naso a qualche 'figliol non prodigo'. Accade anche che Francesco si metta a dialogare con un saccente, e teologicamente imbarazzante Scalfari, invece che con un intellettuale cattolico. E dire che di questi se ne trovano a mazzi dietro ogni angolo!

Succede poi che, reagendo a questo suo bizzarro interesse per contesti sociali e culturali lontani dalla Chiesa, una rivista come 'Rolling Stone' imiti 'Time magazine' e sbatta il Papa in prima pagina dedicandogli un articolo che dimostra, per inciso, una grande (ma forse prevedibile?) ignoranza del magistero pontificio. E accade perfino che - forse contagiato da questa improvvisa popolarità del Pontefice anche in ambienti della cultura pop - il responsabile dell'account twitter del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali decida di pubblicare sul web la foto di un murales, apparso nel quartiere di Borgo, zona vaticana, che ritrae Francesco come uno stile fumettistico, quasi fosse un supereroe.

 

Orrore! Il soggetto che soffre del complesso del 'figlio maggiore' è infastidito da questa improvvisa popolarità del vescovo di Roma e dallo svilimento della sua sacralità. Figurati quando viene a sapere che la più antica rivista americana rivolta a un pubblico omosessuale lo ha nominato 'persona dell'anno'. Nella mente del complessato solo 'Famiglia cristiana' è autorizzata a fare una scelta simile. Pazienza se la cosa in sé sarebbe così scontata da essere priva di ogni interesse.

Ricordo le centinaia di persone che sfilavano silenziose per via della Conciliazione nell'aprile 2005, subito dopo la morte di Giovanni Paolo II. Provenivano da tutta Italia, da molti Paesi del globo, solo per dare l'ultimo saluto a Papa Wojtyla. Molti non erano credenti. Un amico, anche lui 'complessato', mi disse di diffidare da quelle folle. "È tutta gente che non si è convertita davvero". Mi sembrò quasi invidioso perché quel popolo variegato, spuntato dal nulla, potesse omaggiare quel Pontefice che lui, da cattolico integerrimo, sentiva solo suo.

Eppure, in questi casi mi tornano in mente quegli scribi nel vangelo di Luca che si scandalizzano perché Gesù mangia con i peccatori. A loro il Figlio di Dio spiega che ci "sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione". Una pagina del Vangelo ancora dura da digerire, evidentemente. Ma se lo fosse, forse, non sarebbe Vangelo. 

 

 

Fabio Colagrande

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