Capolavori da tutto il mondo arrivano in questo angolo sperduto del Friuli, grazie alla visione di una comunità. Andiamo alla scoperta, tra le montagne della Carnia, di un incredibile scrigno d’arte...
Si lavora di chiodi e martello, di gerani e uncinetto, ramazza e cazzuola. Sapienza artigiana, energia montanara e passione per l’arte: il miracolo di Illegio è nella magica combinazione di questi fattori, che hanno saputo trasformare un paesino di 340 abitanti, incastonato tra le montagne della Carnia, in uno scrigno d’arte che richiama da maggio a ottobre 40-50 mila persone. In fila per ammirare capolavori provenienti dai più grandi musei del mondo come il Louvre di Parigi, la National Gallery di Londra, il Museo Picasso di Barcellona, il Prado di Madrid, la Galleria Tret’jakov di Mosca o gli Uffizi di Firenze. E per godere di un’ospitalità genuina in un paese che, sulle ali dell’arte, ha saputo reinventarsi e creare lavoro, grazie alla domanda turistica, con piccole pensioni, b&b, trattorie e ristoranti.
Insomma, in pochi anni la comunità all’ombra della pieve di San Floriano ha saputo conquistare la fiducia dei grandi centri d’arte e dei turisti, trasformando da un lato la vecchia dimora dei presbiteri in una Casa delle esposizioni, spazio museale all’avanguardia per sicurezza e fruizione delle opere; e dall’altro proponendo ai visitatori mostre d’arte internazionali con percorsi espositivi a tema, tra capolavori fatti arrivare da tutto il mondo in questo angolo sperduto della montagna friulana.
L’idea è nata da «diversi reagenti che, combinandosi insieme, hanno generato una nuova molecola, potremmo dire usando una metafora chimica», racconta don Alessio Geretti, presbitero di Udine e viceparroco dell’unica parrocchia di Illegio, mente e anima del progetto. «Una bella comunità, custode di luoghi d’arte — la pieve, la chiesa del paese, ma anche i mulini, alcune case con le loro strutture architettoniche — e poi memorie, leggende, canto orale millenario di un repertorio liturgico aquileiese, antichissimo, ancora tramandato alle ultime generazioni… un tesoro che abbiamo desiderato condividere e far conoscere», dice don Alessio. E aggiunge un altro fattore determinante: «Il clima piuttosto avvilito del resto della montagna ci ha spinto a inventare qualche opera esemplare, umile ma coraggiosa, per dire che lo spegnerci non è l’unico nostro destino». A questo va sommata la persuasione che «l’arte sia una via privilegiata per aprire un discorso con l’uomo contemporaneo».
Si è così deciso, prima di tutto, di riqualificare la festa del patrono, san Floriano, il 4 maggio, e accanto ai riti e alla normale festa popolare, si è messa in cantiere un’esperienza culturale. Il primo piccolissimo esperimento, nel 2004, con la nascita dell’associazione culturale Comitato di san Floriano, ha valorizzato alcune opere del patrimonio locale, quindi ci si è lanciati in un’operazione ardita, che vede protagonisti don Alessio, il parroco don Angelo Zanello e tutta la comunità. «Tante alleanze e molto volontariato permette di contenere i costi, anche grazie al sostegno della Regione e a una bella catena di ambasciatori di Illegio, realtà di eccellenza del Friuli, che ci finanziano e ci fanno amare».
Ogni anno le opere esposte sono collegate da un filo tematico. «Il paese non è solo il luogo, ma è l’attore della proposta e della scelta dei temi, che vogliamo siano importanti per la vita dell’uomo di oggi, sui quali risvegliare qualche nostalgia spirituale e suscitare domande». Così negli anni sono state scelte opere ispirate alla donna; al viaggiare, pellegrini, cercatori profughi; all’amore di coppia; a padri e figli; fino ai “maestri”, il tema di quest’anno, dedicato a coloro che «ci hanno insegnato a vivere, nelle fede, nelle scuola, nell’arte, nel lavoro», dice don Alessio.
La cinquantina di tele in mostra fino al 6 ottobre a Illegio provengono da nove Paesi d’Europa, e contano – tra le altre – opere di Picasso, Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Caravaggio, Jourdy, Fattori.
Dall’alto del paese la pieve del IX secolo è come il faro che ha orientato generazioni e generazioni di persone, «capaci di custodire una visione cristiana della vita», dice il viceparroco parlando della sua comunità. «Anche se non tutti i 340 hanno un’intensa vita di fede, attiva e praticata, tutti si riconoscono figli della pieve di san Floriano, eredi di una grande tradizione, custodi di bellezze culturali e naturali, lanciati in un’avventura che, per certi aspetti, sembra il rovesciamento dello stereotipo della gente di montagna: gente un po’ chiusa, gradevolmente rude ma tutt’altro che luogo di missione intraprendente. E invece questo è un modo di realizzare quella Chiesa in uscita, che guarda alle periferie come capolavori dello spirito, di cui parla papa Francesco».
Come tutta la montagna friulana, anche Illegio ha patito un forte spopolamento nei decenni scorsi. Tuttavia oggi è una comunità con una ventina di bambini, alcune coppie giovani che hanno scelto di restare e altre che sono rientrate, «perché qui hanno ritrovato un vivere più ricco di quello che apparentemente si trova in centri più grandi».
La gran parte degli abitanti lavora in imprese di carattere commerciale, alcuni anche grazie ad attività che sono nate proprio con la mostra, che — a dispetto di chi sostiene che con “la cultura non si mangia” — si è rivelata un efficace volano di sviluppo socio-economico. «È nato qualcosa, anche economicamente parlando, che ha permesso a famiglie giovani di scegliere di restare e far crescere i loro figli a Illegio».
Un progetto culturale di questo livello può aiutare la nuova evangelizzazione? E in che modo? «L’arte è da sempre il luogo di una rivelazione e ha il potere di risvegliare in noi uno sguardo profondo sull’interiorità e sull’esteriorità. Questo lascia liberi e affascina, conduce alla bellezza del Vangelo per un sentiero che attrae anche chi forse non risponderebbe con altrettanta prontezza se invitato a una catechesi o a una liturgia», conclude don Alessio. «L’inclusività di un’esperienza come una mostra, fatta in un certo modo e accompagnata da chi ti offre chiavi di lettura di un certo genere, è una favolosa forma di nuova evangelizzazione. È in realtà antichissima, la Chiesa l’ha sempre messa in atto, ma oggi viene ripensata in forma originale».
L’esperienza della mostra è raccontata dal docufilm del regista Thomas Turolo intitolato Dieç, il miracolo di Illegio. La mostra di quest’anno, “Maestri”, è stata inaugurata il 12 maggio e sarà aperta fino al 6 ottobre, presso la Casa delle esposizioni, Tolmezzo. Da martedì a sabato: 10-19; domenica: 9-20; lunedì (giugno e luglio): solo per gruppi su prenotazione. Lunedì di agosto, settembre, ottobre: aperto 10-19. Sito web: illegio.it.
Vittoria Prisciandaro
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