Se conosco il mio passato, posso anche costruire il mio futuro...
Quando è morto mio padre avevo dodici anni, ed stato un fatto tragico che ha condizionato pesantemente la mia vita. Ciò che mi è mancata è stata soprattutto la possibilità di avere qualcuno che mi guidasse con sicurezza nel mondo. Avevo mia madre, per carità, che mi ha voluto bene, e altre donne sue amiche mi sono state vicine. Ma a me mancava mio padre. Ho cercato a lungo di colmare questo vuoto nella ricerca delle mie radici. Parlavo con la gente che lo aveva conosciuto cercando di strappare un ricordo che me ne rendesse un pezzetto. Riandavo nei luoghi che lo avevano visto in vita, la sua casa di origine, camminavo nei campi dove aveva camminato lui, percorrevo i boschi e le montagne che lui amava, visitavo le tombe dei miei avi… Da allora ho vissuto con la costante nostalgia di una stabilità spezzata per sempre.
Cogli anni mi sono reso conto che in realtà io condivido con tanta gente, forse con tutti, questa sensazione. Infatti, anche senza questo episodio particolare della mia vita, la sensazione di mancanza l’avrei avuta comunque; diciamo pure che la condizione stessa dell’uomo è caratterizzata da un vuoto interiore che lo spinge a fare, a realizzare un progetto, a spendersi per una causa, e, quando questa manca, a lasciarsi travolgere dalla depressione, a drogarsi, a uccidersi. Perché l’uomo non è una cosa immutabile, ma un essere portato alla trascendenza, teso a qualcosa che va oltre lui. Mi sono reso conto poi che il punto di partenza del cristianesimo e dell’esistenzialismo è in fondo il medesimo, il vuoto originario, la mancanza, la frattura interiore, il nulla che ci abita. Solo che viene risolto in due modi diversi, addirittura opposti. Il cristianesimo si fonda sul mito biblico dei progenitori – Adamo ed Eva – i quali, con un gesto di superbia, ruppero il patto di fiducia con Dio, venendo estromessi dal Paradiso terrestre. Nel catechismo si parla di “peccato originale”. Attraverso il battesimo però questo legame con il divino viene riannodato e riconfermato ogni volta con la riconciliazione (la confessione) e, soprattutto, con l’eucaristia in cui il cristiano diventa veramente una cosa sola con il Corpo di Cristo. Il cristiano, inoltre, è sicuro che dopo la morte avverrà una nuova riconciliazione, definitiva, con il Padre. E’ la speranza di questo abbraccio che tiene in vita il cristiano e gli fa superare ogni tipo di difficoltà.
L’esistenzialismo di Sartre, che ritiene il cristianesimo una dottrina inconciliabile con la razionalità, teorizza invece l’esistenza da qualche parte dentro di noi di un nulla, una sorta di buco nero che ci spinge in continuazione a desiderare qualcosa che lo colmi. In assenza di una redenzione, però, l’uomo non può scappare al suo destino di angoscia. Anzi, è proprio la sua libertà che lo condanna paradossalmente a creare nuovo vuoto: infatti se scelgo di fare qualcosa, decido di fare il pittore, ad esempio, mi precludo la possibilità di sviluppare le mie potenzialità come medico, artigiano, capitano d’industria, chef stellato e così via. La libertà di scelta è in realtà, nell’ottica esistenzialista, la morte delle mie altre molteplici possibili esistenze. L’azione politica volta a favorire il bene comune (Sartre era vicino al partito comunista) è, in realtà, un palliativo. Una volta lasciato solo a se stesso l’uomo si ritrova nella disperazione. Non a caso Umberto Galimberti ha affermato che la speranza non esiste, è un concetto cristiano di cui non vale nemmeno la pena di parlare.
Questa diversa visione del mondo si è tradotta ovviamente nell’arte. In ambito cristiano si è formato l’ideale rinascimentale dell’artista che cerca di imitare Dio, utilizzando le stesse leggi che Gli hanno permesso di creare la natura; i corpi dei santi non conoscono corruzione, perché destinati a nuova vita, alla risurrezione. Viceversa, l’artista contemporaneo, vede solo il decomporsi della materia, un inaridimento interiore. E’ di questo che parlano i quadri di Bacon e le sculture di Giacometti. In assenza di una prospettiva trascendente che parli di speranza, il corpo è ridotto ad una implacabile immanenza. Il corpo è pura materia che nasce dal nulla e finisce nel nulla. Secondo l’esistenzialismo, perciò, ritornando al mio caso personale, non potrei nemmeno pensare di potere, un giorno, essere ricongiunto con le persone che mi hanno amato, con mio padre in particolare. Rimarrebbe solo questo mio anelito, questo desiderio perennemente insoddisfatto di poter vivere ancora con lui. Eppure io mio padre l’ho conosciuto, so che mi ha tenuto in braccio da piccolo, so che mi ha portato in vacanza, che si è sacrificato per me, e già questo è fonte di parziale consolazione.
Per questo non posso che pensare con estremo dolore ai figli prodotti con la cosiddetta inseminazione eterologa, in cui il seme di una persona sconosciuta viene usato per ingravidare una donna. Abbiamo il diritto, nei limiti del possibile, di conoscere le nostre radici, attraverso le quali costruiamo una nostra identità. Se conosco il mio passato, posso anche costruire il mio futuro. Ad esempio, Mosè scoprì il proprio essere ebreo in età avanzata, e fece di questo il cardine della successiva esistenza, si diede il compito di liberare il suo popolo dalla schiavitù in Egitto. Considero perciò il fatto che si possa far nascere degli esseri a cui è stata tolta programmaticamente la possibilità di conoscere il proprio passato una delle cose più crudeli che l’uomo abbia mai potuto concepire.
Sergio Mandelli
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