Una riflessione critica sul modo di stare sui Social da parte di alcuni "evangelizzatori"
Dall-EPapa Francesco richiama la Chiesa a essere missionaria anche negli spazi digitali, riconoscendo che le reti sociali sono parte integrante della vita moderna. Tuttavia, questo ambiente solleva domande urgenti: come evangelizzare senza conformarsi alle logiche mondane? La cultura digitale richiede una Chiesa capace di abitare questi spazi senza ridurre il Vangelo a un prodotto da vendere.
La cultura digitale cambia il modo di relazionarsi con sé stessi, con gli altri e con Dio. È una sfida che non riguarda solo i giovani: tutta la comunità ecclesiale deve ripensare le sue pratiche. Ma è proprio questa adattabilità che a volte suscita dubbi: alcuni influencer cattolici, invece di annunciare Cristo, sembrano più impegnati a promuovere sé stessi. Ci chiediamo: Il loro stile è davvero coerente con il Vangelo? Oppure cercano approvazione attraverso il numero di like e follower? Il linguaggio che usano rispecchia la radicalità e la bellezza del messaggio cristiano o si limita a imitare le mode della cultura pop contemporanea?
La Chiesa riconosce il valore dei missionari digitali, ma insiste sulla necessità di formare persone autenticamente radicate nel Vangelo. Non si tratta di "influenzare" le masse, ma di offrire una testimonianza credibile. È qui che emerge un’altra questione cruciale: alcune pratiche digitali polarizzano, banalizzano o addirittura distorcono la fede. Quanti evangelizzatori digitali mettono davvero al centro la Parola e non sé stessi? La loro comunicazione invita a incontrare Cristo o serve solo a rafforzare il loro personaggio pubblico? È una missione o un esercizio di vanità?
I giovani hanno un ruolo privilegiato nella missione digitale, ma anche loro rischiano di cadere in trappole di superficialità. Usare i social media per parlare di Dio richiede maturità e consapevolezza: non basta essere "nativi digitali". La Chiesa è capace di formare giovani evangelizzatori che sappiano distinguersi nel mondo digitale? Quanti di loro sanno parlare di fede con un linguaggio che non scimmiotti la cultura pop, ma sappia trasformarla dall'interno?
Essere missionari digitali significa opporsi alla logica dei social, basata su visibilità, monetizzazione e polarizzazione. Ma non sempre accade. Ci sono influencer che riducono il cristianesimo a slogan o spettacolo, e in certi casi sembra che il Vangelo serva solo come pretesto per rafforzare la loro identità digitale. Il Vangelo è proclamato nella sua radicalità o viene semplificato per diventare "commercializzabile"? Quali rischi ci sono nel trasformare l’evangelizzazione in intrattenimento? E soprattutto, questa "popolarità digitale" rende il Vangelo più accessibile o più frivolo?
Conclusione
Il mondo digitale è una terra di missione, ma non senza pericoli. Evangelizzare non significa adattarsi alle logiche dei social, ma portare Cristo nel cuore della cultura digitale, con uno stile che non perda la profondità e la verità del Vangelo. È una sfida controcorrente: non il numero di follower, ma la capacità di annunciare Cristo con autenticità misura il successo della missione.
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