Le mani giunte

In questo percorso di Quaresima vogliamo presentare alcuni gesti liturgici, per comprenderne meglio il significato. Oggi parliamo del gesto di tenere le mani giunte in preghiera..

Le mani giunte

Nell'iconografia dei primi secoli il gesto delle mani giunte riunite e aderenti l'una all'altra è totalmente assente. Se si eccettuano alcune rappresentazioni del IX secolo, esso si imporrà soprattutto a partire dai secoli XI-XII per la raffigurazione di qualcuno che è in preghiera.

Questo gesto è tratto dai rituali del mondo feudale. Costituisce il primo atto della cerimonia dell'omaggio. Il vassallo metteva le sue mani giunte in quelle del signore e si legava a lui con un giuramento di fedeltà dichiarando di essere un suo "uomo", un "fedele servitore". In cambio, il signore gli affidava una terra in beneficio, un feudo.

Il gesto dell'omaggio ha un parallelo in quello della professione religiosa, quando un nuovo fratello mette le sue mani in quelle dell'abate o del priore, per esprimere il proprio voto di obbedienza. O ancora nel gesto del presbitero appena ordinato che mette le mani in quelle del suo vescovo per esprimere la sua promessa di obbedienza.

Attraverso questo gesto delle mani giunte offerte al Signore i cristiani esprimono umiltà, dipendenza, fedeltà, l'offerta della vita a Dio e la loro fiducia in lui. Romano Guardini dice che "esprimiamo devozione, dedizione, quando si abbandonano, per così dire, le mani con cui ci difendiamo alla stretta delle mani di Dio" 1.

La postura dei fedeli a mani giunte e dita intrecciate è più antica e spontanea. Essa può esprimere sentimenti molto diversi: fiducia o spavento, venerazione o timore, raccoglimento o intensa supplica.

Quando uno si raccoglie tutto in se stesso ed è nella sua anima solo con Dio, allora la mano si stringe saldamente nell'altra, il dito si incrocia con il dito. Come se il flusso interiore che vorrebbe dilagare dovesse venir condotto da una mano nell'altra e riportato nell'interno, affinché tutto rimanga dentro, un custodire il Dio nascosto. E così parla: "Dio è mio, e io sono suo, e noi siamo soli, l'uno con l'altro, in intimità". Altrettanto fa la mano quando un’interiore angustia, una grande necessità, un dolore, minaccia di erompere. La mano si stringe di nuovo nella mano, e l'anima, dentro, lotta con se stessa fino a che si è dominata, placata.
Romano Guardini, I santi segni, Pp. 26, 28


Tratto da: P. Christopeh, La bellezza dei gesti del cristiano, Qiqajon.

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