Lettera aperta di un giovane affetto da triplegia spastica

Mi sento molto chiamato in causa da un argomento di bioetica così importante e decisivo in ragione della mia esperienza personale: sono affetto da triplegia spastica che mi costringe fin dalla nascita su una sedia a rotelle ...

Lettera aperta di un giovane affetto da triplegia spastica

 

Illustrissimi Signori

Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano

Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi

 

Sono Lorenzo Moscon, ho 20 anni e desidero scrivervi in merito a un tema d’attualità che ritengo fondamentale e di cui già da alcuni anni si sta occupando il Parlamento, ovvero l’Eutanasia.

Mi sono deciso a scrivervi a seguito delle parole del Presidente della Repubblica che ha dichiarato: “indispensabile che il Parlamento si occupi dell’eutanasia.”

 

Mi sento molto chiamato in causa da un argomento di bioetica così importante e decisivo in ragione della mia esperienza personale: sono affetto da triplegia spastica che mi costringe fin dalla nascita su una sedia a rotelle e ho subito sei interventi chirurgici, dai quali ho ricavato un’esperienza che mi permette di testimoniare quale sia lo stato fisico ed emotivo di un paziente che si trovi costretto in un letto di ospedale.

Posso assicurare grazie a tale esperienza che nella condizione di malattia ho sempre avvertito il bisogno manifesto e oggettivo di essere voluto bene ed amato. La sofferenza, che è uno stato psicologico in questo caso determinata da un dolore fisico, può essere eliminata, anziché intraprendendo un sentiero definitivo come quello dell’eutanasia, mediante una relazione interpersonale che rammenti al malato il valore incommensurabile della propria dignità, dignità che può essere dimostrata grazie alla capacità universale dell’uomo, per esempio di amare, di apprezzare le arti (ad es. letteratura, pittura, scultura, musica), di ragionare, di dialogare, interrogarsi sul senso delle cose, sulla loro origine, il loro scopo, il loro modo di essere, a prescindere dalla loro utilità. La sofferenza fisica e spirituale può essere lenita dalla vista di una persona cara e grazie alla costanza di un rapporto affettivo interpersonale disinteressato, come ho potuto sperimentare in modo costante.

 

Ogni uomo ha un’inclinazione costitutiva all’autoconservazione: infatti l’uomo è un essere vivente e in quanto essere vivente è costituzionalmente orientato alla vita: un essere vivente orientato alla non vita è in contraddizione con la sua caratteristica costitutiva rappresentata dal fatto che, come dice il nome stesso, è vivente. Pertanto suicidio ed eutanasia sono malvagi perché contraddicono direttamente uno dei fini-beni dell’uomo.

Pur nel condizionamento innegabile della sofferenza e della malattia, si può vivere per riconciliarsi con una persona, per assolvere a degli obblighi morali, per fare testamento.

Sperimento quotidianamente che, in ragione della mia patologia, senza l’aiuto di qualcun altro non mi sarebbe possibile neanche scendere dal letto. Di conseguenza, se mancasse questo aiuto, io mi troverei in una condizione analoga a quella di un paziente in stato non responsivo transitorio, nonostante io sia in grado di intendere e di volere. Questa condizione di dipendenza giunge a tal punto che, se qualcuno volesse, potrebbe prevaricare sul mio corpo nonostante il mio dissenso. Ma la dipendenza è costitutiva per qualsiasi essere umano perché (come ha sottolineato a più riprese la filosofia dell’intersoggettività), ognuno di noi ha strutturalmente bisogno, come minimo, del riconoscimento altrui: bisogno dell’apprezzamento dell’altro. E la dipendenza è una condizione oggettiva che prima o poi l’uomo si vede costretto ad affrontare a causa dell’oggettiva deteriorabilità del proprio corpo. L’eutanasia è il tentativo di occultare o di eliminare questo dato incontrovertibile che è la condizione di dipendenza e di finitezza della vita biologica dell’uomo.

 

Desidererei sottoporre alla vostra cortese attenzione alcune disposizioni giuridiche.

La Raccomandazione n. 1418 del 1999 del Consiglio d’Europa incoraggia gli Stati membri a rispettare e proteggere in ogni modo la dignità dei malati terminali o delle persone morenti accogliendo il divieto di sopprimere malati terminali o persone che stanno per morire. Altresì i parlamentari hanno rammentato anche la Risoluzione n. 1859 del 2012 del Parlamento europeo in cui si esplicita che “l’eutanasia, intesa come uccisione intenzionale, per atto positivo o per omissione, di un essere umano che dipende da altri e perpetrata a motivo di un suo presunto beneficio, deve essere sempre proibita”.

Facendo eco a questa iniziativa politica anche trentotto medici pediatri belgi hanno pubblicato una lettera-appello su “La Libre Belgique” con il titolo Fine-vita dei bambini: una legge inutile e precipitosa. In essa si fa presente che questa legge non risponde ad alcuna reale esigenza e che la maggior parte delle équipe mediche che hanno in cura bambini in fase terminale, a domicilio o in ospedale, devono ammettere che non si sono mai trovati nella loro pratica davanti a una domanda di eutanasia spontanea e volontaria espressa da un minore. Allo stato attuale della medicina – continuano i pediatri – i mezzi per attenuare il dolore sono largamente disponibili nel nostro Paese, più che in altri Paesi. È evidente che oggi nessun paziente, e dunque bambino, debba soffrire e a ciò provvedono appunto le cosiddette cure palliative.

 

Laddove si pone come unico criterio quello della qualità della vita e non quello dell’intrinseca preziosità della persona umana allora, per logica, il criterio dell’età dei soggetti da uccidere diventa meramente accessorio.

Quasi nessuno ha condiviso o ripreso o anche solo citato la lettera aperta firmata da 161 medici e pediatri belgi che si chiedono come può il Parlamento approvare «l’eutanasia per i bambini». I medici, come gli animalisti per la giraffa Marius, hanno ricordato che ci sono «altri mezzi per alleviare il dolore. Nessun bambino ha bisogno di soffrire oggi perché siamo perfettamente capaci di controllare il dolore con le cure palliative sia in ospedale che a casa».

Inoltre, «non esiste un modo oggettivo per determinare se un bambino sia capace di discernere» le conseguenze dell’eutanasia, e quindi di richiederla in piena coscienza: non è un problema religioso.

 

L’eutanasia, prima ancora che una questione di credo personale, è un «problema di natura filosofica», ha spiegato Léonard, «minaccia nel lungo termine la società riguardo ai temi della vita, della morte e della libertà umana».

Assistiamo a tentativi di uccidere la solidarietà, banalizzare e rendere vano qualsiasi fenomeno di aiuto tra chi è forte e sano verso chi è debole.

Siamo esseri in relazione, che necessitano solidarietà».

Ci sono altresì articoli dell’ordinamento giuridico italiano: l’art. 2 della Costituzione il quale stabilisce che vi sono diritti inalienabili della persona che la Repubblica riconosce e garantisce, tra cui ovviamente e prima degli altri il diritto alla vita. Oppure l’art. 579 del Codice Penale che sanziona l’omicidio del consenziente e l’art. 580 che punisce invece l’aiuto al suicidio, sanzionando così l’eutanasia. Oppure l’art. 5 del Codice Civile che vieta gli atti di disposizione permanente del proprio corpo: se è vietato disporre di parti del corpo a maggior ragione lo è disporre della vita. Per le cure palliative cfr. legge n. 38\2010.

 

Si sente spesso parlare di eutanasia come atto di libertà, intesa come assoluta auto-determinazione dell’agire umano e totale sovranità dell’uomo su sé stesso, ma a ben vedere, questo atto è in contraddizione lampante con il concetto stesso di libertà, infatti la libertà di vivere è presupposto fondamentale che permette di esercitare ogni altra forma di libertà e l’eutanasia la distrugge.

Io Lorenzo, non posso fare a meno di fidami di Lei, la mia libertà mi porta a fidarmi di Lei, Presidente. Per questo mi sono permesso di sottoporre alla Sua attenzione ciò che a me realmente sta a cuore e in cui io credo fermamente.

 

La ringrazio sin d’ora.

Distinti saluti.

Lorenzo Moscon

 

 

Lorenzo Moscon

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