Uno degli esaminandi aveva lasciato il suo elaborato di letteratura inglese in bianco, e il professor Tolkien, per una misteriosa ispirazione, scrisse su quel foglio bianco quella frase...
Uno degli esaminandi aveva lasciato il suo elaborato di letteratura inglese in bianco, e il professor Tolkien, per una misteriosa ispirazione, scrisse su quel foglio bianco quella frase...
“In un buco della terra viveva un Hobbit”. Questa strana frase venne improvvisamente alla mente del giovane professore che in un caldo pomeriggio estivo, nella sua casa di Oxford, correggeva i compiti di ammissione all’università. Uno degli esaminandi aveva lasciato il suo elaborato di letteratura inglese in bianco, e il professor Tolkien, per una misteriosa ispirazione, scrisse su quel foglio bianco quella frase. Era nato un nome, Hobbit, e in breve tempo il nome sarebbe diventato un personaggio, la più originale creatura del vasto mondo fantastico del più geniale scrittore di Letteratura dell’Immaginario.
Quella ispirazione improvvisa fu all’origine non solo del racconto che sarebbe stato pubblicato anni dopo, il 21 settembre 1937, col titolo The Hobbit, There and Back Again, cioè "Andata e ritorno", ma anche di tutta l’opera successiva di John Ronald Tolkien, e in particolare il suo capolavoro Il Signore degli Anelli. Senza quel buffo personaggio, lo Hobbit, probabilmente tutto l’universo fantastico che Tolkien andava elaborando da anni non avrebbe mai conosciuto la pubblicazione: il timido professore avrebbe continuato a scrivere a matita sui suoi quaderni storie di elfi, di ascese e cadute di antichi regni, storie mitiche collocate in epoche arcaiche che quasi sicuramente nessun editore avrebbe mai pubblicato.
Storie che avevano avuto, a loro volta, una genesi piuttosto particolare: nel marzo del 1916 Tolkien, che aveva da poco terminato col massimo dei voti gli studi a Oxford, si trovava in un campo d'addestramento dell'esercito, pronto per essere inviato in Francia nell'inferno delle trincee della Prima Guerra Mondiale. Tolkien così scriveva alla fidanzata, Edith Bratt:
"In questo triste pomeriggio piovigginoso, ho letto vecchi appunti di lezioni militari ed ero già stufo dopo un'ora e mezza. Ho apportato dei ritocchi alla lingua delle fate che ho inventato, per migliorarla. Spesso mi viene voglia di lavorarci ma me lo proibisco perchè, anche se mi piace tanto, mi sembra un'occupazione così pazza!"
Ciò a cui faceva riferimento il giovane ufficiale era quel mondo di trame, di leggende, di genealogie di elfi e antichi eroi, che aveva preso a modellare nella sua fantasia, l'opera cui il suo autore lavorò tutta la vita e non portò mai a compimento, la materia che fu la fonte di ogni racconto e di ogni avventura scaturita dalla penna del genio di Oxford.
Era quel grande corpus di racconti che costituiscono Il Silmarillion, o meglio: The Book of the Lost Tales - il libro dei racconti perduti, come Tolkien denominava queste prime storie, storie di cui appunto egli non si sentiva il creatore, ma lo scopritore. Cominciò a prendere forma su quaderni scolastici in cui Tolkien - a matita - prese a dispiegare le affascinante cosmogonia, iniziò la sua lunga attività di cronista degli avvenimenti delle età della Terra di Mezzo e delle terre situate in un remoto Occidente, portando alla luce imprese di eroi, gesta di valore e fatti terribili, esaltando la bellezza, esecrando il male, offrendo il senso del mistero.
Ma tutto quanto abbiamo conosciuto e amato nel Signore degli Anelli non sarebbe stato possibile senza lo Hobbit.
Questa storia è molto più che un prequel del Signore degli Anelli, come molti dei lettori - o spettatori - più recenti potrebbe credere. Non è una storia - come molto spesso accade nel caso dei prequel, appunto - per spiegare a posteriori gli antecedenti, i segreti, i misteri di un’opera. Il racconto delle avventure di Bilbo Baggins e di altri personaggi ormai familiari ai lettori della saga dell’Anello, come Gandalf, Gollum, Elrond, nani ed elfi, uscì dalla fantasia di Tolkien molto tempo prima che le vicende della Guerra dell’Anello venissero immaginate. In realtà, il Signore degli Anelli fu concepito come il seguito de Lo Hobbit, e per molto tempo, nella corrispondenza che intercorreva tra Tolkien e l’editore, il libro in gestazione veniva chiamato “il nuovo Hobbit”. La storia dello Hobbit invece era una bellissima favola, nella quale erano entrati altri elementi - oltre a quelli mitici ed epici - dell’immaginario tolkieniano.
La storia era nata certamente, nelle intenzioni dello scrittore, come una fiaba per bambini, narrata con un tono colloquiale in cui il narratore si rivolge ai piccoli lettori invitandoli ad avventurarsi loro stessi nella storia. Nel corso dei diversi anni di preparazione del libro, tuttavia, il racconto si arricchì progressivamente dei contenuti del Legendarium tolkieniano.
Ciò che alla fine ne uscì, fu un'opera caratterizzata da diversi elementi che richiamavano, e non solo nei nomi e nei personaggi, le antiche mitologie nordiche, ma anche le leggende medievali, con il loro simbolismo. Per certi aspetti Bilbo ricorda Perceval, uno dei principali protagonisti dei cicli arturiani. Perceval è un ragazzo di campagna, che un giorno vede passare dalle sue terre dei cavalieri di Camelot, magnifici nelle loro armature, e decide che diventerà uno di loro. Ma il cammino è duro e difficile: a Camelot gli fanno fare solo lo scudiero, lo prendono in giro per le sue origini e le sue maniere poco raffinate, ma gradualmente Perceval si sgrezza e alla fine diventerà il cavaliere per eccellenza della Cerca del Graal. Il romanzo di Chretienne de Troyes si può dunque definire il capostipite del cosiddetto romanzo di formazione, dove l’eroe della storia diviene tale solo attraverso un faticoso cammino di prove che progressivamente lo forgiano.
Possiamo dire lo stesso per lo Hobbit di Tolkien. Un romanzo di formazione che si rivela tale soprattutto nel finale. La storia infatti si conclude in due modi: la restaurazione del Regno dei Nani, con Dain che diventa il successore di Thorin e distribuisce saggiamente le ricchezze conquistate, e il ritorno a casa di Bilbo. Nei due finali della storia Tolkien si confronta, implicitamente, con l’opera letteraria che forse più amava, il Beowulf, il primo poema al mondo interamente dedicato al tema della lotta di un eroe umano contro un Mostro. E' il tema profondo e metafisico del controllo del Caos, del conflitto tra cultura e natura, dello sforzo di dare ordine all'esistente, dominando e vincendo la paura.
La grande fiaba dello Hobbit dunque ci trasmette tutto questo. Non è quindi solo una storia con ambientazione simil-medievale, uno scontro tra il Bene e il Male, ma anche il racconto della nostalgia di un'età dell'oro, di un Eden che l'uomo ha perduto, e dalla riproposizione del senso religioso, visto come necessario per frenare la caduta di valori e la rovina dell’umanità.
Di Paolo Gulisano
Tratto da http://www.lanuovabq.it
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