Non chiamatelo ragazzino

Livatino è il primo magistrato beato nella storia della Chiesa. Il giornalista, docente e scrittore Marco Pappalardo ne ripercorre la vicenda in un originale libro per preadolescenti, adolescenti ed educatori

Rosario Livatino, il giovane giudice ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990 (ad appena 37 anni), è modello, oggi, di una vita semplice ma intensa, di una dedizione al lavoro vissuto in modo coerente, di una fede profonda e concreta e di un saldo senso civico e del dovere, anche nella lotta quotidiana contro poteri forti come la mafia. Lo scorso 21 dicembre 2020, papa Francesco ne ha riconosciuto il martirio, aprendo la strada della sua beatificazione, la cui cerimonia si svolge ad Agrigento proprio il 9 maggio 2021, nello stesso giorno del 1993, quando, nella Valle dei Templi, San Giovanni Paolo II pronunciò il suo forte monito contro gli uomini di mafia. Livatino è il primo magistrato beato nella storia della Chiesa.

Il giornalista, docente e scrittore Marco Pappalardo – firma del nostro blog - ne ripercorre la vicenda in un originale libro per preadolescenti, adolescenti ed educatori, dal titolo “Non chiamatelo ragazzino”, edito da Paoline. 

Lo hanno chiamato "giudice ragazzino" quasi per dire che non fosse all'altezza della lotta alla criminalità organizzata, ma a quasi 38 anni - altro che "ragazzino" - ha dimostrato con la sua esistenza e con la tragica morte che la mafia lo temeva molto. In queste pagine parlano di lui e per lui la sua città, alcuni oggetti personali, i luoghi di studio e di lavoro, i simboli della fede e della giustizia, dei testimoni. Raccontano - riportando in corsivo le parole del coraggioso magistrato - una vita semplice ma intensa, una professione vissuta in modo coerente, un uomo dalla profondissima fede e dall'altissimo senso del dovere. In ogni capitolo, poi, si trovano alla fine alcune brevi riflessioni per aiutare il lettore a comprendere che Livatino oggi è un modello vincente per essere donne e uomini di speranza, nelle piccole cose di ogni giorno e nell'impegno contro ogni mafia.

Il libro, arricchito dalle illustrazioni di Roberto Lauciello, è pensato in particolare per ragazzi dai 10  ai 15 anni; adatto alla lettura personale o di gruppo, in parrocchia e in oratorio, all’utilizzo nelle scuole come testo per le ore di Educazione Civica, di Narrativa, di Religione e per i progetti sulla Legalità, pensando magari ad appuntamenti importanti come la Giornata Nazionale della Legalità, il 23 maggio (giorno in cui si ricorda la strage di Capaci). La Prefazione è del magistrato Sebastiano Ardita, componente del Consiglio Superiore della Magistratura.

Dalla sua vita e dal libro un decalogo per l’oggi e per il domani:

 

  1. Non chiamateci “giudici ragazzini” perché svolgere bene il proprio dovere non ha età.

 

  1. Non chiamateci “giudici ragazzini” poiché il nostro sistema di studi e di concorsi ci permette di esserlo se studiamo, superiamo gli esami, siamo bravi e ce lo meritiamo.

 

  1. Non chiamateci “giudici ragazzini” quando offriamo il pieno delle nostre forze a servizio dello Stato.

 

  1. Non chiamateci “giudici ragazzini” quando le nostre giornate di lavoro iniziano presto e ci impegnano fino al pomeriggio inoltrato, a volte fino a tarda sera o senza orari di rientro.

 

  1. Non chiamateci “giudici ragazzini” quando sacrifichiamo la famiglia, gli affetti e le amicizie per dedicarci totalmente ad una guerra così dura.

 

  1. Non chiamateci “giudici ragazzini” se siamo in grado di rimanere sordi a ogni sollecitazione anche mediatica e indiretta, e ascoltiamo esclusivamente la nostra coscienza di magistrati imparziali e fedeli ai principi della Costituzione.

 

  1. Non chiamateci “giudici ragazzini” quando non ci sentiamo potenti, non prevarichiamo su alcuno, cerchiamo di giudicare con equità i reati e chi li ha commessi, e diciamo “no” a pressioni e minacce. 

 

  1. Non chiamateci “giudici ragazzini” se non ci crediamo eroi, ma lavoriamo con un normale attaccamento al dovere e alla nostra missione.

 

  1. Non chiamateci “giudici ragazzini” se la mafia ha paura di noi tanto da ucciderci o da attentare alla nostra vita.

 

  1. Non chiamateci “giudici ragazzini”, ma date ai ragazzini di oggi i mezzi, lo spazio, l’opportunità, i modelli, le risorse per essere fra qualche anno quei Giudici che sconfiggeranno ogni tipo di mafia, impegnandosi per la Giustizia e per il Bene Comune!

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