«Maschere smascherate: uno spillo e il pallone gonfio d'aria è andato perduto: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Nulla di più, nulla di meno».
La loro vita è stata tutta una trappola, un tenderGli delle trappole: trappole che li hanno poi intrappolati (liturgia della XXIX^ domenica del tempo ordinario). L'imbarazzo inaudito di chi in Lui s'imbatté. Tant'è che se nei suoi anni di vita quaggiù Dio – nelle sembianze di Gesù di Nazareth – quando s'è visto costretto a polemizzare, o tutt'al più a discutere animatamente, mai è accaduto con uomini e donne lontani dalla fede, peccatori conclamati e aguzzini ben noti al pubblico. No: gli attimi di maggior apice della Sua veemenza li ha riservati a dei professionisti della religione. Quelli che, di generazione in generazione, passano il loro tempo a trastullarsi sulla loro idea di Dio, finendo per fare di quell'idea l'immagine stessa di Dio. Del dio che, dunque, non è Dio: una sua caricatura, al massimo. Professionisti delle caricature faccia a faccia con l'Uomo delle non-contraffazioni.
Esperti di trappole, insomma: “tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi”. Tengono consiglio: mica facile da soli reggere il peso di quelle parole mastodontiche, di quelle gesta sorprendenti, di quella Presenza a dir poco imbarazzante. Mica sono stati i primi, però. Una delle tante combriccole ospitate nei Vangeli: come Lucifero nei primi giorni delle tentazioni nel deserto (quella volta se ne uscì con la coda tra le gambe, ndr), come gli anziani in cerchio attorno alla donna pizzicata in adulterio (quella volta se ne andarono tutti, dai più anziani in giù: ndr), come sotto la Croce dove a tentarlo furono coloro che forse s'erano immaginati di poter essere Dio. Nemmeno quella volta cedette alla tentazione di mostrarsi per davvero com'era, ovverosia Dio: li lasciò liberi di rimanere increduli, annebbiati, disposti a tutto pur di non cedere alla Bellezza. Quella bellezza che li smaschera ancora una volta, per l'ennesima volta: “Ipocriti, perchè volete mettermi alla prova?” Che era un modo gentile e da signore di far percepire loro la vera essenza delle loro vossignorie: “teatranti che non siete altro. Perchè volete mettermi alla prova, uomini da palcoscenico?” Gli presentano la moneta, gli mostrano il volto di Cesare, smascherano quello che sono realmente: della gentaglia tutta dedita a seguire Mammona e a cercare di intrappolare il Cristo. Il Cristo delle sorprese, dell'inaudito: il Cristo anche solo spiato dentro il quotidiano dell'esistenza.
Maschere smascherate: uno spillo e il pallone gonfio d'aria è andato perduto: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Nulla di più, nulla di meno. A Cesare spettano le cose: rendetegli ciò che gli spetta, Cristo ne sarà felice. Perchè l'uomo non vive delle cose ma del senso in esse racchiuso. Della vastità alle quali esse additano: «Qui per me l'uomo si dissolve nel paesaggio immenso che mi ha dischiuso » (E. Canetti, La lingua salvata). A Dio, però, rendete ciò che spetta a Dio: il senso delle cose, la bellezza dei legami. Il nascere, il morire, l'amore, la speranza, il desiderio. Ciò che va cercato – dopo aver dato ciò che si deve ai cesari di qualsiasi spazio e tempo – non sono giorni migliori, bensì uomini e donne che rendano migliori i giorni nostri. Eccola la vera religione dell'Uomo di Nazareth: la religione non è necessariamente una cosa buona. Quella volta sul Golgota Dio venne ucciso in nome di Dio. Una religiosità che, nel mentre stesso in cui toccò il vertice della sua forza, svelò anche l'apice del suo essere una farsa. Certe esasperazioni della religione, insomma, si sono mostrate e si mostrano persino più disumane della sua assenza.
Servi del Regno: eccolo il rendere a Dio ciò che gli spetta. Schiavi di nessun Cesare: ecco la richiesta da rendere a Cesare. Uomini che rialzano la testa senza perdere la faccia: voci inaudite dentro il teatro della storia, uomini rispettosi ma di Grazia contornati. D'altronde nelle pagine dei Vangeli la grande decisione è rimasta sempre la stessa, quella che fece intrappolare i farisei nella trappola da loro stessi ingegnata: decidersi come si vuole essere. Perchè prima di essere se stessi - “Sii te stesso!” - è da capire chi si è veramente: “Chi sono io?”. E' la logica che lo chiede, ancor prima del Cristo di Nazareth. Quella logica che, a conti fatti, fa apparire illogici i costruttori di trappole. Intrappolandoli.
don Marco Pozza
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