La maturità ci prepara a questo, come una sfida, una porta stretta, un rito di passaggio...
Esame di maturità. Ultimo giorno. Prova orale e via di corsa. Finalmente in vacanza.
L’orizzonte visivo di un maturando, alla vigilia della sua prova, coincide con quello di tanti studenti che hanno completato o stanno completando la maturità. Un’estate leggera: mare, amici, lunghe serate, e riposo, tanto riposo. Nessun pensiero, nessun problema. Unico obiettivo: disinnescare il cervello. Certo, e come potrebbe essere altrimenti?
Ho provato a chiedere ad una neodiplomata quale fosse il suo stato d’animo dopo il raggiungimento della “maturità”. Disattendendo le attese, la risposta è di quelle che mai ti aspetteresti: «Adesso comincio ad aver paura». «Come, proprio ora che il peggio è passato, non desideri un po’ di vacanza?». «Sì, certo, anche quella, ma la paura è più forte». «Paura per il futuro, per le scelte universitarie, per le conseguenze che queste avranno sulla mia vita. Paura. Nient’altro».
La bellezza della scuola è anche in queste incertezze, nei dubbi dei ragazzi che occupano lo spazio destinato al divertimento. Non è la determinazione di chi sa già cosa farà, dove inizierà gli studi, a quale direzione tendere il futuro. La bellezza, paradossalmente, è proprio qui. E sono proprio gli inciampi, le storture, gli smarrimenti ad offrire la possibilità di riflettere sul percorso appena concluso e su quello da fare. Nel momento della paura ci si chiede: “Cosa desidero adesso dalla vita? Cosa, io, posso dare alla mia vita?”.
“L’esame di maturità ha delle gambe e ci insegue. Perché avviene? Perché è un uscio che si apre su di una terra ignota, perché sancisce la fine del mondo del figlio-studente e l’inizio del tempo delle scelte che faranno il nostro destino”(Massimo Recalcati, L’ora di lezione). La paura di questa ragazza è la paura di migliaia di ragazzi come lei, studenti che affrontano la loro prova di maturità esponendosi al rischio del fallimento. Ma la paura è anche in quello che sarà all’indomani dell’esame, lì dove inizia l’instabilità avventurosa del mare. È che spesso ci si sente ancora indifesi, impreparati al mondo, si ha paura di uscire dal recinto familiare, da quella che gli psicanalisti definiscono “la certezza della terra dell’infanzia”.
Ma chi ci dice che siamo pronti? Può un giudizio definitivo e immodificabile, scolpito nel nostro curriculum vitae e nella nostra memoria, giudicare la nostra maturità? No, possiamo stare tranquilli: non esiste alcuna Commissione, alcun membro interno, Presidente o membro esterno che sia, che possa giudicarci su questa maturità. Anzi, è proprio l’inesistenza di questa Commissione, non la sua esistenza, che ci angoscia. Ecco che la paura si indirizza verso la nostra libertà e il nostro desiderio che d’improvviso ci appaiono sconfinati e indomabili.
“Un’allieva, chiamata alla cattedra dalla Commissione per sostenere il colloquio d’esame, volse lo sguardo all’amica del cuore chiedendole teneramente: «Vieni anche tu?». Impossibile: la prova di maturità ci separa dai nostri appoggi abituali esponendoci al rischio del fallimento”. C’è un esame degli esami, come dimostra l’esempio qui riportato tratto da Massimo Recalcati (ibidem), in cui siamo tenuti a parlare da soli rompendo lo specchio protettivo della classe. È l’esame della vita in cui nessuno può parlare al nostro posto, venire al nostro fianco, tenerci la mano. La maturità ci prepara a questo, come una sfida, una porta stretta, un rito di passaggio destinato ad affrontare la paura (non certo ad annullarla).
Domenico Cassese
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