Era il 1° dicembre del '63 quando Papa Paolo VI beatificò Nunzio Sulprizio. Non poteva sapere che sarebbero stati dichiarati santi nello stesso giorno, il 14 ottobre 2018...
del 15 ottobre 2018
Era il 1° dicembre del '63 quando Papa Paolo VI beatificò Nunzio Sulprizio. Non poteva sapere che sarebbero stati dichiarati santi nello stesso giorno, il 14 ottobre 2018...
ALLOCUZIONE DI PAOLO VI
PER LA BEATIFICAZIONE DI NUNZIO SULPRIZIO,
PERFETTO ESEMPIO PER I LAVORATORI
Domenica, 1° dicembre 1963
Oggi si conclude felicemente una causa di beatificazione, che si protrae da oltre un secolo, ma che la fama di santità, dalla quale il nuovo Beato, Nunzio Sulprizio, in vita ed in morte fu subito circondato, aveva già positivamente risolto.
Nunzio Sulprizio chiudeva santamente la sua vita mortale a Napoli, il 5 maggio 1836, a soli diciannove anni. Fin dal luglio 1859 Pio IX lo dichiarava venerabile emanando il Decreto, che introduceva il processo ora giunto a buon termine, mentre nel 1891 Leone XIII riconosceva eroiche le virtù del giovane abruzzese e ne associava la figura a quella di San Luigi Gonzaga, nella memoria del terzo centenario della morte di questo Santo, per la devozione di Nunzio Sulprizio verso di lui, e per la breve età, in cui si compi per entrambi il ciclo degli anni terreni: diversissimi nell’aspetto storico e sociale, i due giovani recano alla Chiesa la gioia e la gloria d’una somigliante virtù, quella della santità giovanile.
Gode di questa proclamazione la terra d’origine del nuovo Beato, l’Abruzzo, terra feconda di Santi, illustre e venerabile per la pietà tradizionale del suo popolo, pronto ad esprimere in canti, in riti, in costumi l’emozione commossa ed austera della sua anima religiosa.
Gode specialmente la diocesi, in cui Nunzio Sulprizio ebbe i natali, quella di Penne-Pescara, che siamo lieti di vedere qui degnamente rappresentata dal suo zelante Pastore, circondato dalle Autorità, dal Clero, dalle associazioni di quella stessa diocesi e da alcune migliaia di fedeli, di là venuti per acclamare con fierezza e con compiacenza il nuovo fratello celeste. Gode parimente Napoli, dove il Beato terminò il suo breve pellegrinaggio terreno, e dove la festa del Beato Vincenzo Romano, che abbiamo testé elevato all’onore degli altari, si unisce a quella di questo nuovo suo «figlio d’acquisizione». Salutiamo cordialmente questi cari Abruzzesi e Napoletani, e facciamo voti che la loro fortunata naturale parentela con così degni rappresentanti delle loro regioni si traduca in parentela spirituale, nella imitazione delle virtù cristiane di quelli.
Questo Nostro augurio Ci obbliga ad accennare agli aspetti caratteristici della vita che la beatificazione, oggi decretata, offre al culto e alla imitazione della Chiesa. E, come si sa, tali aspetti sono principalmente due; quello offerto dalla corta durata della vita del Beato Nunzio Sulprizio, e quello che sembra delineato dal fatto che egli fu, per alcuni tristi e duri anni della sua adolescenza, operaio, un povero e semplice apprendista in una squallida officina di fabbro ferraio. Giovane ed operaio, ecco il binomio che sembra definire il nuovo Beato; ed è binomio di tale splendore e di tale importanza, che basta per riempire d’interesse la breve e scolorita biografia di lui.
Nulla diciamo ora di questa biografia, anche perché pensiamo che per la sua brevità e per la sua semplicità, se già non fosse da tutti conosciuta, potrà esserlo assai facilmente. Ci preme invece, con questo sguardo complessivo e fugace, assicurarci che quelle due prerogative di Nunzio Sulprizio - d’essere giovane e d’essere operaio - sono associabili alla santità. Può un giovane essere Santo? Può un operaio essere Santo? Anzi più interessante ancora sarà, se riusciremo a scoprire che questo caro nostro eletto non solo fu degno di beatificazione quantunque giovane e quantunque operaio, ma proprio perché giovane e perché operaio.
Qui bisogna, una volta ancora, ricordare quali siano oggi le nostre condizioni di spirito, quando presumiamo (e Dio voglia che sia abituale a noi questa non riprovevole presunzione! ) conoscere, cioè misurare, quei tipi umani singolari, anzi eccezionali, che chiamiamo Beati o Santi. Se bene osserviamo, quando studiamo con l’interesse della psicologia moderna la loro vita, noi inconsciamente studiamo la nostra. I Beati, i Santi, gli Eroi, i Perfetti oggi ci servono di specchio per conoscere noi stessi. Il loro culto ci educa ad uno studio su l’uomo, sulla storia, sulla coscienza umana di tale efficacia e penetrazione che basta di per sé a raccomandarlo come provvido e sapiente. Lo studio della santità vissuta ci porta alla scoperta delle manifestazioni umane più alte e più caratteristiche, e perciò più degne di attenzione e di assimilazione. Ed è un studio meraviglioso, perché, da un lato, riscontra negli eletti proposti alla nostra venerazione e alla nostra imitazione una fondamentale identità: la natura umana. Si isti et istae, cur non ego? viene spontaneo di esclamare con S. Agostino; e tale studio mette in evidenza un unico principio di perfezione, il quale può essere a tutti comune, la grazia, che orienta la nostra vita verso un unico archetipo, Gesù Cristo, come c’insegna S. Paolo, là dove dice che i Santi, i chiamati da Dio alla salvezza, debbono «essere conformi all’immagine del Figlio suo» (Rom. 8, 29). E da un altro lato lo studio agiografico ci mostra che tutti i Santi sono differenti gli uni dagli altri. Ciascuno è distinto e ciascuno ha una sua inconfondibile fisionomia; ognuno dimostra uno sviluppo proprio, in un certo senso libero e originale, della propria personalità; è ancora S. Paolo, che ce lo ricorda: «Una stella differisce per il diverso splendore da un’altra stella» (2 Cor. 15, 41).
Ed ecco allora perché noi oggi siamo tanto proclivi a dare all’eletto un nome che a noi lo avvicini e dagli altri santi lo distingua; una qualifica che lo faccia entrare nelle nostre categorie sociali o psicologiche, ed insieme lo separi da altre forme della vita umana. Vogliamo trovare nei Santi dei colleghi, diciamo così, qualificati; una santità astratta e generica oggi meno ci attrae; la vogliamo definire con termini concreti, nostri, e inconfondibili.
Perciò è sembrato facile e felice ai biografi di Nunzio Sulprizio chiamarlo giovane e chiamarlo operaio. Questa nomenclatura gli assicura due strette parentele con la vita del nostro tempo, nella quale il giovane ed il lavoratore occupano posizioni rappresentative ed operative di prima importanza.
E l’elogio del nuovo Beato potrebbe fermarsi qui; ed avrebbe titoli indiscutibili e stupendi per essere ascoltato da voi, giovani, da voi, operai.
Nunzio Sulprizio dirà a voi, giovani, come la vostra età è stata da lui illuminata e santificata; egli è una gloria vostra. Egli vi dirà come la gioventù non dev’essere considerata l’età delle libere passioni, delle inevitabili cadute, delle crisi invincibili, dei pessimismi decadenti, degli egoismi dannosi; egli vi dirà piuttosto come l’essere giovani è una grazia, è una fortuna. S. Filippo ripeteva: Beati voi, giovani, che avete tempo di far bene. È una grazia, è una fortuna essere innocenti, essere puri, essere lieti, essere forti, essere pieni di ardore e di vita, come appunto sono e dovrebbero essere gli uomini che ricevono il dono dell’esistenza fresca e nuova, rigenerata e santificata dal battesimo; ricevono un tesoro che non va sciupato follemente, ma conosciuto, custodito, educato, sviluppato, e rivolto a produrre frutti vitali, benefici per sé e per gli altri. Egli vi dirà che nessuna età come la vostra, giovani, è idonea ai grandi ideali, ai generosi eroismi, alle coerenti esigenze di pensiero e di azione. Egli v’insegnerà come voi, giovani, potete rigenerare in voi stessi il mondo in cui la Provvidenza vi ha chiamato a vivere, e come tocca a voi, per primi, consacrarvi alla salvezza d’una società che ha appunto bisogno di animi forti e impavidi. V’insegnerà la suprema parola di Cristo, essere il sacrificio, la croce, la salvezza nostra e del mondo. I giovani comprendono. questa suprema vocazione.
Ed a voi, lavoratori, questo povero e sofferente vostro collega porta un messaggio di molti capitoli. Dice il messaggio di Nunzio Sulprizio beatificato, innanzi tutto, come la Chiesa pensi a voi, come abbia di voi stima e fiducia, come veda nella vostra condizione la dignità dell’uomo e del cristiano, come il peso stesso della vostra fatica sia titolo per la vostra promozione sociale, e per la vostra grandezza morale. Dice ancora il messaggio di Nunzio Sulprizio come il lavoro abbia sofferto, e come tuttora abbia bisogno di protezione, di assistenza e di aiuto per essere libero ed umano, e per consentire alla vita la sua legittima espansione. Vi dirà ancora come il lavoro non possa separarsi da quel suo grande complemento, che è la religione; la religione che dà la luce, cioè le ragioni supreme della vita e che determina perciò la scala dei veri valori della vita stessa; è la religione che dà il respiro, cioè l’interiorità, la purificazione, la nobiltà, il conforto alla fatica fisica e all’attività professionale; è la religione, che umanizza la tecnica, l’economia, la socialità; è la religione, che fa grandi e buoni e giusti e liberi e santi gli uomini laboriosi. E allora Nunzio Sulprizio vi dirà come sia ingiusto privare la vita del lavoratore della sua superiore nutrizione ed espressione spirituale, ch’è la preghiera; vi dirà come nulla sia più nocivo per il vostro spirito, per la vostra vita familiare e sociale che ignorare Cristo, nulla di più indebito e pericoloso e fatale che dichiararsi a Lui, il grande Amico, indifferenti o ostili; e come nessuno infine sia chiamato ad essergli vicino, ad accogliere il suo Vangelo e a godere della sua salvezza più d’un lavoratore dal cuore forte e onesto.
Potrebbe, dicevamo, fermarsi la nostra lode dl nuovo Beato, fermarsi a questo duplice riconoscimento, che vede associata la santità al fatto ch’egli era giovane e fu lavoratore. I suoi biografi si sono infatti, per lo più, accontentati di questa bella apologia.
Ci sia concesso di notare, con coloro che hanno studiato più addentro la vita di questo umile servo di Dio, come tale apologia sia suscettibile di approfondimenti, i quali ci porterebbero a riconoscere in Nunzio Sulprizio aspetti nuovi, appena avvertiti nelle narrazioni ordinarie della sua breve esistenza, ma forse più penetranti, più misteriosi e più reali; anche perché qualcuno potrebbe osservare che la qualifica di giovane conviene a Nunzio Sulprizio piuttosto per la breve durata della sua vita, che per lo spirito proprio d’un giovane; e quella di operaio non presenta che elementi parziali della psicologia e della problematica del lavoratore moderno.
E non sarà difficile scoprire nel Beato, che oggi la Chiesa propone alla nostra considerazione, temi fecondi e profondi di studio e di simpatia. La sua infanzia, ad esempio, orfana e povera, segnata da tanta tristezza, non ci invita alla meditazione immensa, conturbante per chi non è della scuola di Cristo, sul mistero del dolore innocente? e come da un’infanzia, sulla quale dev’essersi accumulato il senso pesante della solitudine, della miseria, della brutalità, non è scaturita, come di solito avviene, una psicologia malata e ribelle, un’adolescenza insolente e corrotta? come mai tutta questa vita giovanile infelice e mancata fiorisce fin dai primi anni in innocente, paziente e sorridente bontà? Poi v’è il problema fondamentale della sua religiosità: donde una pietà così viva, così sicura, così perseverante, così personale? basta a spiegarla quel po’ d’educazione religiosa che poteva dare a quel tempo una parrocchia abruzzese perduta sui monti? o vi è una religiosità di popolo, connaturata ed inconscia, che in Nunzio Sulprizio si manifesta con ingenua pienezza? ovvero fu grande maestra l’umile nonna paesana, ch’ebbe cura per alcun tempo dell’orfano e senza forse saperlo svelò a quell’animo sofferente e sensibile le prime note del divino colloquio? Resta davvero da esaminare la formazione religiosa del giovane illetterato; e può darsi che l’esame ci porti a riconoscere la ricchezza spirituale della tradizione religiosa locale, ch’è poi quella di gran parte della gente italiana, tradizione tanto degna di rispetto, anche se talora manifestata in forme ora discutibili di culto popolare. E può darsi ancora, e sarà la scoperta migliore, che ci capiti di avvertire l’azione del divino Maestro invisibile, che, come in molte altre vite di Santi s’incontra, fa lui dell’anima pura e iniziata dal dolore al raccoglimento l’alunna privilegiata, che non dai libri, non dalla voce di maestro esteriore, ma da certa nascente scienza interiore impara le verità della fede ed i misteri del regno di Dio. Cosi vi sarà il problema della capacità di questo giovanetto malato e infelice a capire oltre il proprio bisogno quello degli altri, oltre il proprio dolore il dolore altrui.
La pazienza, la mansuetudine, la carità premurosa e servizievole di questo adolescente incurabile e zoppicante si possono, sì, narrare e descrivere; la comparsa d’ un Colonnello dal cuore d’ oro fa grande figura nella sua breve storia; ma, umanamente parlando, quella bontà resta inesplicabile; essa ci avverte cioè che anche qui siamo davanti al segreto dell’ ottimo Nunzio, il segreto che appunto noi cercavamo, quello della sua santità.
Così che, se la glorificazione, che oggi celebriamo di questa singolare virtù, davvero ci appare meritata e a noi stessi esemplare e benefica, sarà bene fare amicizia con questo caro Beato, e pensare umilmente come dobbiamo avvicinare la sua celeste conversazione e come possiamo seguire anche noi il suo terrestre itinerario.
Con questi voti, invocando l’ intercessione di Nunzio Sulprizio e a lui tributando l’omaggio della Nostra devozione, tutti, venerati Fratelli e diletti Figli, di cuore vi benediciamo.
Paolo VI
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