Si può parlare di castità a delle persone che convivono o che non sono praticanti? La risposta per me è assolutamente sì
Si può parlare di castità a delle persone che convivono o che non sono praticanti? La risposta per me è assolutamente sì. Anzi spesso possono essere loro a parlarne a noi, con uno slancio che a volte si fatica a trovare anche nelle nostre parrocchie. Mi è accaduto poco tempo fa…
Qualche tempo fa una persona che conoscevo poco mi ha scritto in privato per chiedermi di cosa parlasse il mio libro Casti alla meta. 50 sfumature dell’amore vero (Mimep Docete, 2020). Il titolo, infatti, l’aveva incuriosita. Mi scrisse in quello stesso messaggio di aver visto per caso un programma tv dove non le era piaciuto il modo in cui si mostrava il corpo: ovvero senza pudore. Le ragazze avevano atteggiamenti frivoli e provocanti, i ragazzi l’aria dei latin lover “tutto muscoli e niente cervello”.
Mi disse di essere contraria alla banalizzazione del sesso e che per lei era molto importante il rispetto per il corpo. Sono rimasta stupita dal suo modo di parlare, perché questa donna non era una cattolica praticante. Diceva di credere nei “valori del Vangelo” (amore per il prossimo, servizio, sacrificio, importanza della famiglia, solidarietà nel dolore), ma per vari motivi non aveva molto in simpatia la Chiesa e con Dio, anche se ci credeva, aveva un rapporto un po’ conflittuale.
A un certo punto questa donna mi chiese se per me “castità” volesse dire anche “aspettare il matrimonio per il sesso”. Io le dissi di sì e le spiegai le mie ragioni. Non ci conoscevamo ancora bene e in quel momento ho avuto paura che potesse prendermi per bigotta o, quanto meno, come una strana (finché parli di purezza e rispetto del corpo non crei poi così scandalo. Ma se dici, pur con delicatezza, “Niente sesso fuori dal matrimonio” rischi davvero la gogna). Invece, disse che ammirava la mia coerenza, che era un piacere sentirmi parlare in quel modo: che era bello vedere qualcuno che dava “così tanto valore alla sessualità”. Sì, una donna che viveva una situazione di convivenza, canonicamente “irregolare”, apprezzava il mio modo parlare su questi temi, talvolta criticato anche da persone di Chiesa (“Tu pretendi troppo: il mondo è cambiato”).
Mi raccontò qualcosa di sé: sebbene non avesse fatto la mia scelta, anche lei aveva sperimentato, in qualche modo, ciò di cui parlavo, condividendo l’importanza di “dare ad ogni gesto la sua importanza”, riconoscendo che “anche un bacio ha tanto valore” e “bisogna darlo al momento giusto”, non senza prima avere l’intenzione di fare sul serio. Pensava come me che col corpo “si manifesta quello che si porta nel cuore” e che il sesso è un atto di donazione totale, da vivere solo nella logica della fusione con una persona. Comprò il mio libro qualche giorno dopo e continuammo a parlare anche successivamente… Qualche mese dopo l’inizio delle nostre conversazioni, questa persona mi disse di aver deciso una volta per tutte di prendere “un impegno tangibile verso l’uomo che amava”.
Così hanno fissato la data delle nozze, al momento solo in comune, ma lasciando “aperta la possibilità di un matrimonio in Chiesa, se fossero riusciti a ricucire il loro rapporto con il Signore”. In cuor mio prego che, quando Dio vorrà, si aprano a Lui pienamente e al sacramento del matrimonio. Prego che “tornino a casa”, nella famiglia della Chiesa. Ma è stato bello per me vedere come, anche solo con categorie umane, questa persona abbia capito il valore di appartenersi nel corpo e nello spirito, di fare una promessa, di legarsi in modo visibile.
Grazie a questa donna ho capito anche cosa intende Papa Francesco in Amoris Laetitia con il concetto di “gradualità” nella pastorale. Non si tratta di scendere a compromessi sulla verità o sulla radicalità evangelica (non ho omesso con lei la verità quando mi ha chiesto cosa pensassi sul sesso e sull’opportunità di viverlo nel matrimonio; le ho spiegato cosa significasse per me il sacramento nuziale e perché era più bello sposarsi in Cristo). Si tratta piuttosto di accompagnare passo dopo passo, con tenerezza e pazienza, le persone verso l’amore di Dio, rispettando i loro tempi e, talvolta, accettando anche le loro regressioni. Stando affianco, ma lasciando che siano loro a camminare. Ho toccato con mano che “fuori dalla Chiesa” ci possono essere anime aperte alla purezza, che vogliono crescere e amare davvero. Dunque, tornando a noi: “Si può parlare di castità a delle persone che convivono o che non sono praticanti?”. La risposta per me è assolutamente sì. Anzi, come vedete, possono essere loro a parlarne a noi, con uno slancio che a volte si fatica a trovare anche nelle nostre parrocchie (non è un giudizio, ma uno sprone, che rivolgo a me prima di tutti). Ovviamente, il mio sogno è che tutte le coppie arrivino a dirsi il proprio “sì” davanti a Cristo, che scoprano la dolcezza dei sacramenti, l’abbraccio della Chiesa come famiglia, la forza che viene dall’avere Gesù come alleato (parleremo più avanti della sessualità innestata nel sacramento del matrimonio e capiremo meglio perché esso “protegge” l’intimità).
Ma so anche che il modo migliore per portare Cristo agli altri è vivere noi, per primi, di Lui: far luce sulla Luce che ha cambiato la nostra vita. La carità e non il moralismo, cambierà il mondo, dice papa Francesco, senza scordare che, per citare Benedetto XVI, l’amore non è amore – e scade nel sentimentalismo – se non tiene conto della verità sull’uomo. Che Dio ci aiuti a non sentirci superiori a nessuno, ad aprirci serenamente ai fratelli che Gesù sta guidando in altri greggi, a trovare il nostro baricentro nell’armonioso abbraccio tra Amore e Verità.
di di Cecilia Galatolo
tratto da puntofamiglia.net
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