"Come un atleta nel massimo dello sforzo: i tratti sfiorano la disumanizzazione, le ossa sbraitano vendetta, il cuore batte all'inverosimile...".
Come un atleta nel massimo dello sforzo: i tratti sfiorano la disumanizzazione, le ossa sbraitano vendetta, il cuore batte all'inverosimile. Eppure il senso della sfida lo abita così a fondo che decide di alzare il ritmo, intestardito nel giocarsi la sfida fino in fondo. E' il volto di Gesù di questa domenica: a muso duro, direzione Gerusalemme (liturgia della XIII^ domenica del tempo ordinario). Laddove Gerusalemme significa Pasqua; ma anche passione e Calvario, testamento e abbandono, solitudine e angoscia, attesa e promessa prima dell'aurora del mattino della prima Pasqua ebraica. Lungo la strada uomini e donne di ogni ceto e di ogni razza: per ognuno, forse, uno sguardo, un indirizzo di promessa, un invito. E ognuno di loro risponde a modo loro: con un cenno d'assenso, con un incoraggiamento, con un disappunto. Come quel manipolo di Samaritani ai quali erano stati mandati messaggeri per annunciare il passaggio ormai prossimo del Nazareno. Negativa fu la loro risposta: appena seppero la direzione calpestata – Gerusalemme, ovverosia la morte – ne vietarono il passaggio. Bastava essere loro menzogneri, confondere forse le carte, imbrogliarne i passi e sarebbe stato tutto più facile. Lo avevano intuito al volo i discepoli: loro, uomini non-più-uomini dal forte senso pratico, la risposta ce l'avevano già bella e pronta, mancava l'assenso del Maestro. “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?” Neanche il minimo cenno di risposta da parte di Lui: troppo meschina la loro proposta al cospetto del suo senso di libertà: “si voltò e li rimproverò”. Punto e a capo: ieri, oggi, domani. Sotto la volta celeste c'è posto per tutti, non solo per quelli che accolgono al volo il senso di una chiamata. Non perchè pensano diverso da noi possiamo invocare fuochi e fiamme dal cielo per estinguerli: forte sarebbe il rischio di gettare anche del grano buono con la zizzania.
Tanto più che anche tra coloro che anelano alla sua sequela non sempre è chiaro il cuore delle loro scelte: “ti seguirò, ma attendi un attimo. Verrò con te, ma prima c'è quel campo. M'affascini, lascio tutto e ti seguo: attendi solo la sepoltura del padre mio”. C'è il fascino, manca la prontezza: forse non c'è molta dissomiglianza con il mondo di Samaria. E Lui, splendente come il sole, non illude sulla fatica, non dimezza le attese, non annacqua la trasparenza: “non ci sarà nido, non ci sarà tana per chi accetta di seguire Me e la mia follia d'essere Cristo”. Lo seppe Pietro, Giacomo e Giovanni: eravamo ai primordi della Chiesa nascente. Lo seppe Antonio, Francesco e Romualdo: eravamo secoli dopo l'avvento di Cristo. Lo sappiamo/sentiamo io, te e lui: siamo nell'oggi della sequela. Nulla è cambiato perchè Lui non cambia: c'è un subito, un qui e ora a fare la differenza in coloro che guerreggiano con la sua chiamata. Se sembra troppo, non importa: chiedilo al giovane ricco. Se sembra esagerato, non importa: chiedilo ai figli di Zebedeo e alla loro madre. Se è imprevedibile, non importa: chiedilo al buon ladrone del primo venerdì santo della storia. Non importa nulla, perchè ciò che importa è che Lui lascia liberi di seguirLo: liberi ma consapevoli che la strada è tutt'altro che quieta e in discesa. La Croce, il disprezzo e l'ignominia, l'abbandono e la solitudine: nulla verrà risparmiato a coloro che - senza tana e senza nido – faranno delle sfide del mondo il senso del loro vagabondare con Lui. Altra cosa sono le volpi e gli uccelli.
Che lo faccia per scoraggiare? O forse solo per mostrare che il suo è un messaggio per “alcuni” e non per tutti? O, magari, per mostrare la sua faccia da bello e dannato? Nulla di tutto questo, pensiamo: semplicemente l'altissima credibilità di un Uomo che - partito dal nascondimento di un retrobottega di carpentiere – ha scalato l'arroganza del mondo per fare luce sull'umiltà del Cielo. Laddove sarà anche vero che non ci sono né tane né nidi, ma vi abita il senso più splendido, quello che rende pienamente uomini: sposare una causa fino a darne la vita per amore. Ch'è diventato l'indigesto per un certo mondo.
don Marco Pozza
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