Spesso le domande dei ragazzi vengono affrontate in termini di consigli sanitari, di prevenzione delle malattie o di gravidanze indesiderate. Va detto anche che quella di senso è spesso una domanda nascosta e non è facile saperla intercettare.
È appena terminato uno degli incontri del laboratorio di educazione dell’affettività e della sessualità che, da alcuni mesi, sto conducendo in alcune scuole siciliane. Questa volta ho invitato a parlare la dott.ssa Piera Di Maria, ginecologo e sessuologo molto conosciuto a Palermo. Al termine dell’incontro le chiedo se posso farle alcune domande.Lei acconsente con piacere.
Negli incontri che sto tenendo in giro per le scuole leggo negli occhi dei ragazzi un forte bisogno di senso. Non vogliono sapere soltanto come si fa l’amore ma soprattutto che cosa rappresenta l’amore per la loro vita. A lei si rivolgono molti giovani per chiederle un orientamento in tema di sessualità. Riscontra anche lei la stessa richiesta?
Condivido pienamente quello che dice. Spesso le domande dei ragazzi vengono affrontate in termini di consigli sanitari, di prevenzione delle malattie o di gravidanze indesiderate. Va detto anche che quella di senso è spesso una domanda nascosta e non è facile saperla intercettare. Da me le ragazze vengono, quasi quotidianamente, a chiedere la contraccezione: un’adolescente che si ritiene consapevole di iniziare a vivere la sua sessualità va dal ginecologo e si fa dare la pillola. Ma dietro una domanda che apparentemente è di tipo sanitario, il più delle volte emerge anche la domanda di senso, soprattutto in chi ha già avuto esperienze sessuali. È come se ti dicessero: “in quella esperienza non ho incontrato quello che sembrava promettesse”. Spesso mi raccontano che non era come lo avevano immaginato, che non era quello che cercavano. Questo per me è un momento prezioso per provare a fare emergere in essi la domanda: che cosa cercavo? Che desiderio c’era dentro questo bisogno di incontrare l’altro nel corpo?
Questo è un ambito in cui l’educazione ricevuta in famiglia è fondamentale. Che cosa possono fare i genitori per aiutare i figli a raggiungere la maturità affettiva?
Dovrebbero attingere alla risorsa più importante di cui dispongono, e cioè la loro relazione di coppia, il modo con cui si prendono cura del noi che ha generato quel figlio. Perché se quel figlio, dal punto di vista biologico, è espressione del loro essere un noi, ancora di più lo sarà la sua maturità affettiva e la sua capacità di amare.
La capacità di instaurare relazioni, infatti, prima ancora di essere insegnata, viene consegnata al figlio dai suoi genitori se questi la vivono all’interno della loro relazione. Per esempio, dire a un ragazzo che l’amore è l’incontro di due libertà è una cosa molto bella. Ma se lui non ha respirato la libertà dentro la relazione con i propri genitori e tra i genitori stessi, come potranno essi insegnarglielo a parole? Se un figlio respira un clima di autentica libertà in famiglia, in qualche modo ne gusterà la bellezza, ne sentirà la nostalgia e si sentirà chiamato a costruirla nelle sue relazioni. E poi comprenderà che la sessualità lo apre inevitabilmente alla dimensione del mistero.
In che senso?
La sessualità è un’esperienza di felicità che si apre al mistero: che cosa è questo luogo di comunione profonda e di reciprocità tra il maschile e il femminile, se non un luogo dove l’uomo e la donna ricontattano l’origine del loro esserci? Io credo che un’esperienza autentica di sessualità sia un’esperienza di incontro col mistero dell’amore.
Giovanni Paolo II diceva che l’uomo e la donna sono quel luogo dove il mistero dell’amore si fa storia. Ed è nella sessualità, quel luogo in cui un uomo e una donna sperimentano di essere una sola cosa, che essi possono ricontattare la propria origine. In questo senso l’esperienza della sessualità ci apre al mistero.
Ma i genitori come possono far comprendere ai figli questo senso del mistero?
Il modo migliore è viverlo, lasciare che questo mistero parli al cuore dei figli. Ma non possono farlo se loro per primi non ne sono consapevoli. Se io voglio consegnare a mio figlio un senso della sessualità e vorrei che lui lo vivesse in pienezza e non ne sprecasse lo spessore e la dimensione, che modo ho per accompagnarlo se non quello di sperimentare e abitare io per primo questo luogo?
È il modo migliore per aiutare i figli a darsi le risposte che cercano.
Sono convinta che nell’esperienza di comunione profonda noi possiamo accedere ad un mistero più grande che è capace di riempire il cuore e il bisogno di felicità, perché per quanto una coppia si possa amare, nessuno può essere la risposta piena al desiderio di felicità dell’altro. Solo facendo l’esperienza di comunione, insieme – che non è il semplice fatto di essere l’uno per l’altro – noi troveremo una risposta al desiderio di felicità e di pienezza, perché questa esperienza ci permette di ricontattare la nostra origine, che è Dio, in maniera del tutto misteriosa.
È molto bello quello che dice. Ma un non credente potrebbe non essere d’accordo
Anche chi non crede ha comunque la possibilità di accedere al mistero che l’amore apre nella propria vita, perché prima o poi sperimenta comunque nel proprio cuore questo bisogno di felicità che l’altro non riesce a soddisfare.
Per questo penso che l’amore sia l’unico linguaggio che può far accedere al mistero di Dio anche le persone che si dicono non credenti. Perché quando un uomo fa l’esperienza di un’altra persona che lo viene ad abitare dentro e che diventa una presenza concreta nella sua vita, si apre inevitabilmente un orizzonte nuovo che potrebbe portarlo a chiedersi quale sia l’origine di questo mistero che è l’amore. Ritengo che la sessualità sia proprio una chiave di accesso a questo mistero. Mi viene in mente una canzone di Franco Battiato che dice “questo sentimento popolare nasce da meccaniche divine”, ma penso anche alle poesie di Pedro Salinas, un poeta spagnolo che non mi pare sia credente, poesie che sanno cogliere dentro un’esperienza così grande come quella dell’amore un mistero più grande ancora.
Torniamo al compito educativo dei genitori. Non le capita di incontrare mamme che, timorose che le figlie possano avere un’esperienza sessuale precoce, suggeriscono loro di portare con sé il preservativo o di usare la pillola?
Se una mamma dice questo alla propria figlia è perché prevede che essa possa avere un rapporto o che desideri averlo. Ma forse questa mamma potrebbe chiedere alla figlia che cosa cerca nella sessualità. Dovrebbe accompagnarla lì dove nasce la domanda: perché vuoi avere un rapporto sessuale con questo ragazzo? La figlia potrebbe rispondere qualsiasi cosa e potrebbe anche non rispondere, ma già averle fatto la domanda è una cosa buona, perché forse le dà la possibilità di arrivare a quel luogo del cuore dove ci sono le domande vere, quelle più profonde.
Limitarsi a metterle il preservativo nella borsa significa impedirle che si ponga almeno la domanda: che cosa sto cercando in quel gesto del fare l’amore con un ragazzo?
A proposito di preservativi, personalmente ritengo che ci sia uno stretto legame tra la mentalità abortiva e quella contraccettiva. Molti, invece, sostengono che, di fronte all’attività sessuale degli adolescenti, è meglio incoraggiare l’uso del preservativo per evitare di incorrere in gravidanze non volute e quindi nel rischio di abortire. Detto in altri termini, la contraccezione farebbe diminuire gli aborti. Lei che cosa ne pensa?
Io credo che se arriviamo a questo ci siamo arresi sulla domanda precedente. È una resa di fronte alla possibilità che i nostri figli comprendano la pienezza di significato della sessualità.
Ma a volte i genitori si arrendono perché non riescono a dialogare col figlio.
E allora il problema nasce prima.
Sì, è vero. Se la comunicazione non ha mai funzionato a dovere, è chiaro che diventa difficile attivarla su un tema così delicato. Proprio per questo motivo un genitore potrebbe pensare che, dato che non riesce a dialogare con la figlia, almeno debba agire per proteggerla dall’idea di rifiutare il bambino.
È una soluzione che non mi convince. Le statistiche parlano di un’assenza di correlazione tra l’uso del preservativo e la riduzione degli aborti. Anzi, il poterlo usare aumenta la probabilità di avere un rapporto sessuale, e quindi di incorrere in una gravidanza. Dal punto di vista medico, poi, l’indice di fallibilità del preservativo è stato valutato tra il 7 e il 15%. La pillola è molto più efficace, anche se comporta altri problemi dal punto di vista medico e biologico, perché priva una diciassettenne dei suoi ormoni naturali. Una ragazza che sta diventando donna ha un corpo che ha bisogno di essere nutrito dai suoi ormoni ovarici e una madre che vuole il bene della figlia dovrebbe tenerlo presente.
Ma torniamo al preservativo: se questo si rompe e la ragazza rimane incinta, la gravidanza diventa il fallimento del contraccettivo; è evidente che il passo successivo rischia di essere l’aborto. In questo senso la mentalità abortiva cresce con quella contraccettiva.
Grazie per la disponibilità e per le interessantissime risposte.
Di nulla.
Il tempo dell’intervista finisce, anche se ci sarebbero ancora tanti altri aspetti da affrontare. Ci riproponiamo di farlo in futuro e ci lasciamo con il rinnovato desiderio di continuare a lavorare assieme per il bene dei ragazzi e dei loro genitori.
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