Nel nord del Paese centinaia di famiglie armene hanno dovuto abbandonare i loro villaggi per un'invasione di fondamentalisti islamici.
Siria e Cristiani: continua la persecuzione. Nella tragedia siriana la tragedia dei cristiani sembra non avere fine. Nel nord del Paese, sul mare, al confine con la Turchia centinaia di famiglie armene hanno dovuto abbandonare i loro villaggi, nel Kessab, per un’invasione di fondamentalisti islamici provenienti dalla Turchia, in cui hanno le loro basi. E anche in quella zona si sono ripetute in queste ore le scene già viste di chiese dissacrate, case saccheggiate, civili morti e rapiti. E per molti cristiani siriani in assoluto la fuga sembra l’unica soluzione. In particolare per quanti non amavano particolarmente il regime del presidente Assad, ma si sono dovuti confrontare, una volta “liberati” con forme di oppressione crescente da parte dei miliziani integralisti di oltre 80 Paesi diversi che costituiscono il nerbo della resistenza armata, aiutata e finanziata da Turchia, Qatar e Arabia Saudita, oltre che dagli Stati Uniti.
Ma anche i cristiani che avendo sofferto sotto il regime hanno formato una brigata nel Free Syrian Army (FSA) si trovano in difficoltà. Perché la loro sola presenza costituisce un problema e un intoppo alla creazione di uno Stato islamico. E a quanto pare questa situazione di persecuzione si prolunga anche dopo la fuga. Secondo rapporti di organismi di assistenza locali, nel campo profughi allestito dal governo turco con un settore riservato ai cristiani non c’è nessuno. I cristiani preferiscono non entrare nel campo, per paura di rappresaglie da parte dei musulmani. Cercano invece rifugio nei sobborghi poveri delle città turche, timorosi sia di entrare nei campi per i rifugiati che rientrare in Siria, nelle zone in mano al FSA e alle fazioni islamiche più o meno affiliate ad al-Qaeda.
Un caso esemplare è quello accaduto ad Aleppo. Una donna cristiana, attivista contro il governo di Bashar al-Assad, è stata arrestata da militanti islamici perché stava partecipando a un evento pubblico senza velo. Marcell Shehwaro, questo è il nome della donna, era a piazza Jisr al-Haj, e partecipava a una cerimonia in cui si piantavano alberi, e si installava una bandiera, in ricordo dei caduti della guerra. Jisr al-Haj è nella zona di Aleppo occupata dai miliziani islamici. Un comandante del gruppo chiamato Jaish al-Mujahedeen (Esercito dei Mujahedeen) le ha chiesto di coprirsi i capelli, perché quella parte della città era sotto il loro controllo. Marcell Shehwaro gli ha risposto seccamente: “Che cosa può farmi l’autorità della Shari’a se non porto il velo? Non porterò un velo. Che l’autorità della Shari’a mi arresti! Smettiamola!”.
Marcell Shehwaro è nota per opporsi da tempo al regime di Assad. “Odio quando mi giudicano per ragioni religiose – avrebbe detto la donna -. E’ pieno di ragazze sunnite che non portano il velo. Che cosa possono far loro?”. Lì per lì i miliziani se ne andarono, ma tornarono dopo un po’ per arrestarla. Ma gli altri attivisti che erano con lei per la cerimonia si sono scontrati con loro per difenderla. A dispetto della resistenza, i miliziani sono riusciti ad arrestarla, e l’hanno portata in un luogo che l’agenzia ANA definisce come la prigione della “Shari’a Authority” ad Aleppo. Dopo un paio di ore però il Jaish al-Mujahedeen l’ha liberata, con un comunicato di scuse: “Deploriamo quello che è stato compiuto da parte di individui come un gesto individuale verso l’attivista Marcell Shehwaro”. Ma il commento della donna, secondo l’agenzia ANA è stato che non c’è posto per i cristiani nella rivoluzione. “Mi chiedo se si può evitare di essere uccisi. Chi non è ammazzato dalle bombe dell’esercito è ammazzato dall’ISIS (Stato islamico di Iraq e Siri, affiliato ad al-Qaeda); e chi non è ammazzato dall’ISIS lo è da qualcun altro”. Shehwaro ha pubblicato le foto della protesta non violenta sulla sua pagina di Facebook il 17 marzo.
Marco Tosatti
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