La morte di una persona a cui siamo affezionati può essere affrontata serenamente e l’esperienza del distacco può acquistare un senso per la nostra vita. Ci si deve però preparare a questo, allenando mente e cuore. Riprendendo l’esempio salesiano della “buona morte” si propongono tre esercizi pratici di “buon distacco”: vivere l’altro come un dono, assaporare il momento presente, ringraziare per i momenti trascorsi.
di Gianna; llustrazioni: SUZY LEE
La morte di una persona a cui siamo affezionati può essere affrontata serenamente e l’esperienza del distacco può acquistare un senso per la nostra vita. Ci si deve però preparare a questo, allenando mente e cuore. Riprendendo l’esempio salesiano della “buona morte” si propongono tre esercizi pratici di “buon distacco”: vivere l’altro come un dono, assaporare il momento presente, ringraziare per i momenti trascorsi.
Nello scorso articolo (Ti prego non morire! – parte 1) abbiamo detto che la morte fa parte della vita, così come la separazione dagli altri è un fatto che ci accade di continuo. Ce ne accorgiamo fin da piccoli, quando facciamo esperienza del distacco dai nostri genitori oppure se viviamo una relazione a distanza. Quelle situazioni infatti ci suscitano emozioni molto simili a quando diciamo addio ad un amico che muore.
Ma se è vero questo, è ancora più vero che non sempre abbiamo gli strumenti per vivere con senso la nostra e altrui morte. Chi per esempio ha mai fatto un incontro formativo sul tema della morte in oratorio? Don Bosco, il santo dell’Allegria, paradossalmente parlava di morte molto di più di quanto non facciamo noi animatori nei nostri oratori salesiani… forse perché in realtà parlava di vita!
Per la precisione Don Bosco parlava di “Esercizi di Buona Morte”, una pratica che consigliava ai suoi giovani, come se di lì a poco si dovesse realmente morire:
«Tutta la nostra vita, o miei cari giovanetti, dev'essere una preparazione a fare una buona morte. Per conseguire questo fine importantissimo giova assai praticare il cosiddetto Esercizio della buona morte, il quale consiste nel disporre in un giorno di ogni mese tutti i nostri affari spirituali e temporali, come se di lì a poco dovessimo realmente morire» [1]
Prendendo spunto da alcuni testi, anche in questa rubrica vorrei tentare di suggerire tre esercizi per fare amicizia con le piccole e grandi morti della nostra vita.
Il primo esercizio consiste nel familiarizzare con un fatto un po’ scomodo ma che se guardiamo bene, è sotto gli occhi di tutti: l’altro non è un mio possesso, l’altro è appunto altro da me ed è libero. Già, l’altro è così libero che può decidere di non volermi bene, di rifiutarmi, persino di morire. Perché l’altra persona è essenzialmente un dono e come tale va riconosciuto. Un dono che proviene da un donatore che si chiama Vita, Destino, Storia, Madre Natura, che per chi è cristiano, Dio.
Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va' nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». Abramo si alzò di buon mattino, sellò l'asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l'olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. (Gen 22, 1-3)
In questo brano della Genesi Dio chiede ad Abramo di sacrificare suo figlio Isacco, il figlio che tanto ha desiderato insieme a sua moglie Sara e che è arrivato solo quando lui era già vecchio e Sara ormai sterile. Se fossi stato Abramo, avrei pensato: “Cioè, ma come? Tu, Dio, mi fai attendere tutta sto tempo per avere un figlio e poi mi chiedi di ammazzarlo? O tu sei fuori o io non ci ho capito niente!”
E invece no, Abramo aveva capito bene. Come è scritto nel brano, Dio lo stava mettendo alla prova, forse stava mettendo alla prova il suo amore per Lui, forse gli stava ricordando che Isacco è un dono che non gli appartiene del tutto… Quando faccio esperienza di distanza da una persona, sento forte questa verità: l’altro non mi appartiene mai del tutto, è un dono e come tale va custodito e – in alcuni dolorosissimi casi – va restituito al mittente.
Trasferiamo ora tutto questo discorso al momento della morte: l’altro quando muore viene restituito al mittente che ritorna a prendersene cura e, se crediamo ad una vita dopo la morte, ce lo custodisce fino al nostro ricongiungimento con lui.
Esercizio pratico: chiediti se sei capace di rispettare le scelte delle persone che ami, anche quando queste ti portano via da loro. Se la risposta è no, non preoccuparti, è tutto nella norma. Inizia allora a rimettere al centro della tua giornata la tua relazione con Dio, pregandolo, meditando la Parola del giorno, ricavandoti dei momenti di silenzio.
Sembrerà assurdo ma per affrontare al meglio la morte è necessario ricominciare a vivere più intensamente il presente, l’oggi. Giuseppe Tacconi, salesiano e docente universitario, morto da poco in seguito ad una tumore, lo esprime bene nel suo diario redatto durante i suoi ultimi mesi di vita[2]:
(27 maggio 2019) Non ho provato - e non provo - sgomento (anche il cortisone è forse complice di questo), piuttosto un improvviso rallentamento, accompagnato dalla sensazione prevalente di essere portato, condotto. Sto vivendo un momento di pausa, che fa mollare la presa e serve a guardarsi intorno, indietro, avanti, di lato, di sopra, di sotto. Questo senso di rallentamento si è presto intrecciato con il senso di un’improvvisa accelerazione. […]. L’accelerazione ha riguardato – e riguarda – più il movimento verso l’essenziale, che improvvisamente distoglie l’attenzione da tutto ciò che ingolfa, chiamando a sé. Mi si è posta più chiaramente la questione di che cosa sia essenziale: non le prestazioni, non il correre e il fare, ma il condividere con altri conversando e il gustare spazi, tempi, ricordi, emozioni. È proprio questa l’attività che di fatto più mi sta impegnando negli ultimi mesi. Vivo una straordinaria intensificazione dell’esperienza e una graduale crescita di consapevolezza.
Il ritorno all’essenziale non è altro che il tentativo di gustare di nuovo il presente, con tutti i doni e le fatiche che si porta dentro. È come quando si è innamorati, che l’attimo insieme alla persona che ami sembra si dilati in un “per sempre” che ha il sapore dell’eternità e tutto il resto del tempo, invece, assume una durata solo in relazione a quel momento.
Anche il dolore per la morte di qualcuno a cui teniamo è l’occasione per vivere, per attraversare quelle emozioni, invece che fuggirle. Se riusciremo a stare nella fatica e nella sofferenza, molto probabilmente ci accorgeremo che siamo più forti di quello che crediamo e forse la morte e le piccole morti del nostro quotidiano ci inizieranno a spaventare un po’ meno.
Esercizio pratico: quando ti capita di sentire un’emozione, fermati un secondo e cerca di sentirla dentro di te, dalle un nome (paura, rabbia, tristezza, gioia, disgusto ecc.), e ascolta i pensieri che ti vengono in mente. E se in quel momento sei insieme ad un’altra persona, dedicale tutto il tempo dovuto, rinunciando a fare contemporaneamente altre mille cose.
L’ultimo esercizio prende spunto da una pratica di psicoterapia che in qualche modo ricorda anche l’esame di coscienza di cui parla don Bosco, come uno degli esercizi di buona morte. Si tratta della possibilità di recuperare i propri ricordi più belli. Spesso le scene memorabili del nostro passato affiorano durante la notte sottoforma di sogno o – in alcuni casi di incubo – oppure ci tornano in mente al solo annusare un odore. Questo perché il senso dell’olfatto (e insieme del gusto) è uno dei primi sistemi sensoriali ad essersi sviluppato nell’uomo ed è in diretta connessione con la porzione del nostro sistema nervoso dedicata alla memorizzazione. Mi viene in mente il protagonista del romanzo di Marcel Proust che, al morso di una Madeleine (un dolce tipico francese), inizia a ricordare tutta la sua infanzia.
Una sera d’inverno, appena rincasato, mia madre accorgendosi che avevo freddo, mi propose di prendere, contro la mia abitudine, un po’ di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, mutai parere. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati maddalene, che sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo. E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto della maddalena. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. […] Poi, per la seconda volta, fatto il vuoto davanti a lui, gli rimetto innanzi il sapore ancora recente di quella prima sorsata e sento in me il trasalimento di qualcosa che si sposta, che vorrebbe salire, che si è disormeggiato da una grande profondità; non so cosa sia, ma sale, lentamente; avverto la resistenza e odo il rumore degli spazi percorsi…All’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di maddalena che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio."[3]
In alcune scuole di psicoterapia, per rielaborare un lutto si parte dalle sensazioni emotive legate spesso al dolore per la perdita, per poi passare ai ricordi che arrivano quasi naturalmente in associazione alle emozioni.
Fissare i ricordi positivi aiuta a pensare e a custodire nella propria mente un’immagine serena della persona come presente e viva. Colui che è morto è vero, ora non c’è più, ma il ricordo bello dei momenti trascorsi insieme è come se illuminasse e scaldasse un po’ il cuore di chi ne sente la mancanza. E il ricordo ci coccola, ci allevia un po’ la sensazione di abbandono, aiutandoci ad affrontare giorno per giorno la perdita di quella persona.
Esercizio pratico: ripensa ad almeno tre momenti per te piacevolmente significativi legati ad una persona che ami e che è ancora in vita. Ora trovane altrettanti legati ad una persona che invece è morta. Scrivili e ringrazia per averli trascorsi.
Per la mia esperienza mi sembra che a partire da questi semplici atteggiamenti del cuore e della mente ci si possa avvicinare al pensiero della morte con più consapevolezza, positività e leggerezza. Perché è importante che la morte venga abitata, che il dolore del distacco da una persona trovi un senso nella propria esistenza. Solo facendo amicizia con la Morte, potremo ricominciare a vivere! Quindi, buona vita a tutti!
[1] Per approfondire gli esercizi di Buona Morte di Don Bosco si veda l’articolo https://www.donboscoland.it/it/page/don-bosco-e-l-esercizio-della-buona-morte
[2] Per leggere questa e le altre pagine di diario https://www.perunavitacomeprima.org/contentValue1050L3.aspx
[3] Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto (À la recherche du temps perdu), 1913 - 1927.
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