on venuto nel deserto per pregare, per imparare a pregare. È stato il grande dono che mi ha fatto il Sahara, dono che vorrei trasmettere a tutti coloro che amo, dono incommensurabile, dono che riassume ogni altro dono, il "sine qua non" della vita, il tesoro sepolto nel campo, la perla preziosa scoperta sul mercato. La preghiera è il sunto del nostro rapporto con Dio.
Son venuto nel deserto per pregare, per imparare a pregare. È stato il grande dono che mi ha fatto il Sahara, dono che vorrei trasmettere a tutti coloro che amo, dono incommensurabile, dono che riassume ogni altro dono, il "sine qua non" della vita, il tesoro sepolto nel campo, la perla preziosa scoperta sul mercato. La preghiera è il sunto del nostro rapporto con Dio. Potremmo dire che noi siamo ciò che preghiamo. Il grado della nostra fede è il grado della nostra preghiera; la forza della nostra speranza è la forza della nostra preghiera; il calore della nostra carità è il calore della nostra preghiera. Né più né meno. La nostra preghiera ha avuto un principio perché noi abbiamo avuto un principio; ma non avrà fine, e ci accompagnerà nell'eterno, e sarà il respiro della nostra contemplazione estatica di Dio, e il canto della nostra felicità eterna, quando saremo "saziati al torrente delle delizie di Dio"(Sal 35). La storia della nostra vita terreno-celeste sarà la storia della nostra preghiera. È, quindi, e innanzi tutto una storia personale. Come non c'è fiore uguale ad altro fiore, una stella uguale ad un'altra stella, così non c'è uomo uguale ad un altro uomo. Ed essendo la preghiera il rapporto di questo uomo con Dio, tale rapporto è diverso per ciascun uomo. Non c'è quindi una preghiera uguale ad un'altra preghiera. È una parola che varia sempre, fosse anche ripetuta all'infinito con le stesse sillabe e con lo stesso tono di voce. Ciò che varia è lo spirito del Signore che l'anima; e questo non si ripete mai, è sempre nuovo. S. Bernardetta Soubirous, che non sapeva dire se non "Ave Maria"; o il mistico che non può più ripetere se non un monosillabo "Dio", hanno la preghiera più varia e personale che immaginar si possa; perché, sotto il velo di quell'unica parola, passa solo e tutto lo spirito di Gesù che è lo spirito del Padre. Per capire bene la preghiera, è necessario capire che si parla con Dio. Ci sono quindi due poli: l'uno piccolo piccolo, debole debole: la mia anima; uno immenso e onnipotente: Dio! Ma qui sta la prima grandezza e la prima sorpresa: che Lui, così grande, abbia voluto parlare con me, così piccolo; Lui, Creatore, con me creatura. Non sono stato io che ho voluto la preghiera; è Lui che l'ha voluta. Non sono stato io che l'ho cercato; è stato Lui che mi ha cercato per primo. Vano sarebbe stato il mio cercare Lui se prima di tutti i tempi non fosse stato Lui a cercare me. La speranza su cui poggia la mia preghiera sta nel fatto che è Lui che vuole la mia preghiera. E se vado all'appuntamento è perché Lui c'è già ad attendermi. Se Lui fosse rimasto nel suo silenzio e nel suo isolamento, io non avrei potuto rompere il mio. Nessuno s'è mai messo lungamente a parlare con un muro, un albero, una stella. Se l'ha fatto, ha smesso ben presto, non ottenendo risposta. Con Dio, è tutta la vita che parlo; e non ho che incominciato! C'è un'altra cosa che va detta parlando della preghiera: non viene dalla terra, ma dal Cielo. Il grido che mi gonfia il petto e che mi fa esclamare: "Dio, ti amo"; lo sforzo che fa ripetere a Faraggì, il musulmano cieco, quando cammina sulla pista vicino a me: "Com'è grande Iddio!"; il pianto di Davide: "Miserere"; l'esaltazione di Maria: "Magnificat"; la lacrima che spunta sulle ciglia di chi si confessa: "Gesù perdonami"; l'improvviso arrestarsi estatico dello scienziato dinanzi alle meraviglie dell'universo, sono opere dello Spirito Santo. È lo Spirito del Signore che riempie il mondo e che ci fa gridare: "Padre!"; che immette in noi la corrente della preghiera. A noi il compito di prestare leste le labbra e riconoscente il cuore al passaggio della corrente divina; e di ripetere, ripetere ciò che lo Spirito di Gesù ci ha suggerito e ci dà forza di dire. È certo che possiamo resisterGli - come per l'amore -; possiamo dire di no, possiamo disperdere nel pozzo nero della nostra anima la corrente che passa, possiamo chiudere le labbra, possiamo tacere. Ed è ciò che facciamo il più delle volte; perché, se fossimo solleciti al richiamo, saremmo in continua preghiera. Per essere precisi, dobbiamo aggiungere che c'è anche una preghiera diremo "nostra", cioè nata sulla terra, nel cuore dell'uomo. Ma questa preghiera non è gran cosa: sovente è un po' di pettegolezzo spirituale; un domandare cose che non servono al nostro vero bene e che ci farebbero del male se ci fossero concesse; un riempire la bocca di parole pie per paura della solitudine o del dolore, da cui Gesù ci aveva già tenuto in guardia. "Quando pregate... non fate come i pagani..."(Mt 6, 7). Se vogliamo un paragone sul valore di questa preghiera (diremo "non isrpirata") rispetto all'altra, la vera, quella dettata in noi dallo Spirito del Signore, diremmo che tra le due s'interpone la stessa distanza che passa tra ciò che di Dio ci han detto i filosofi e ciò che di Lui ci han detto la Bibbia e la Chiesa. I Filosofi, dopo prestigiose elucubrazioni e infinite dissenzioni, son riusciti a mala pena a mettersi d'accordo sull'esistenza di Dio. La Chiesa ha di Dio una conoscenza personale vivente, calda, appassionata, anche se oscura e racchiusa nel buio della fede. In ogni caso, di questa preghiera non c'è gusto d'interessarsi: ben la conosciamo. Quante volte ci siamo ritrovati con la bocca piena di essa, lontani dallo Spirito di Dio! Quante volte ci siamo rifugiati in essa proprio per sfuggire allo Spirito di Dio, alla Sua Volontà! Siamo andati in coro a recitare il breviario, mentre il nostro dovere era d'andare in parlatorio a ricevere qualche povero noioso e puzzolente; abbiamo detto il rosario mentre andavamo ad un appuntamento pericoloso per la nostra anima; abbiamo acceso una candela per diventare ricchi; abbiamo piegato la nostra testa in adorazione mentre il nostro cuore era pieno d'amore impuro. Questa preghiera non viene dal Cielo, ma dalla terra; e sulla terra rimane, ricca solo della sua inutilità e del suo inganno. Di essa il Profeta dirà: "Metterò le nubi per fermarla"(Lam 3, 43). Ma credo che non ci sia nemmeno bisogno delle nubi, perché essa non si alza di un palmo, al di sopra della nostra cieca cocciutaggine. Sì; cieca cocciutaggine che può durare anni, decenni; che crea in noi un'ambiguità farisaica, che ci vede all'altare di giorno e con l'amante di notte, ricchi di danaro e col rosario in mano, ripiegati sul nostro egoismo e con la mente piena di belle idee per riformare la Chiesa. Non ci son lacrime a sufficienza per piangere questi nostri misfatti, questa nostra falsa testimonianza a Gesù Verità e Amore, questo velare la potenza folgorante del Vangelo sotto la cortina fumosa d'una religiosità che non cerca e non compie la volontà di Dio. Perché qui sta il punto: la vera preghiera comincia quando si cerca la volontà di Dio.
In fondo, le cose sono semplici, estremamente semplici: basta ascoltare ciò che ci ha detto Gesù, basta prendere il Vangelo e mettere in pratica ciò che Egli ci ha detto.
Insomma, si tratta di volontà, non di parole. L'ispirazione divina cerca in noi la buona volontà. Lo spirito di Gesù si posa là dove la volontà lo desidera, perché è l'Amore; e per fare l'amore bisogna essere in due. Quando io mi chino al suo Amore, Egli non tarda a venire; anzi, è già venuto, perché mi ama ben di più di quanto io, povera creatura, possa amare Lui. E l'amore si dimostra a fatti, come per il figliuol prodigo: l'alzarsi è un fatto, l'abbandonare i porci è un fatto. Bisogna che l'anima dica seriamente: "Ora torno al Padre"(Lc 15, 18).
Carlo Carretto
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