Pellegrinaggio in terra Santa dal 21 al 28 Marzo: ci racconta la sua esperienza Marco Pappalardo, un giovane della Segreteria Nazionale che ha partecipato a nome del MGS Italia
del 01 maggio 2002
Quasi a distanza di un mese, ricordo con grande emozione e commozione il suono delle campane di Betlemme nel giorno della Domenica delle Palme. Nella Chiesa di Santa Caterina, adiacente alla Basilica della Natività, eravamo in tanti ad innalzare ramoscelli di ulivo e palme intrecciate, la comunità cattolica (arabi cristiani) di Betlemme al completo e noi, una Delegazione della Conferenza Episcopale Italiana di 25 membri, per la maggior parte giovani laici, guidati da Don Giuseppe Andreozzi responsabile dell’Ufficio Nazionale per la Cooperazione tra le Chiese, dal suo vice Don Giuseppe Pellegrini e dal vice-direttore del Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile della CEI.
Dal 21 al 28 marzo abbiamo vissuto un’esperienza che allo stesso tempo è stata un pellegrinaggio, un’azione politica nel senso più genuino del termine, un viaggio spirituale, un accostarsi alle comunità cristiane di Terra Santa, col fine di consegnare ai leaders politici e religiosi la lampada della pace, segno dell’incontro dei rappresentanti di tutte le religioni convenuti ad Assisi nel gennaio di quest’anno.
Al di là delle cose che abbiamo fatto e dei luoghi visitati, desidero qui raccontare le mie sensazioni (ho partecipato a nome del Movimento Giovanile Salesiano Italia), le emozioni di un gruppo di giovani che hanno lasciato le proprie sicurezze per una settimana al fine di mettersi in discussione. Sapevamo bene che non avremmo cambiato il mondo, abbiamo scoperto alla fine che quel mondo, in una ricchissima settimana, ha cambiato qualcosa in noi stessi. Abbiamo accolto l’invito del Santo Padre, del Cardinale Ruini e quello del Patriarca Michel Sabbah di andare in Terra Santa, di non aver paura, per vivere quello che tanti cristiani vivono giorno per giorno. Ci sono state piccole difficoltà, qualche rischio, ma sono state le stesse che vivono tutti i giorni i nostri fratelli cristiani
Dopo aver passato i primi giorni a Gerusalemme, abbiamo incontrato a Ramallah Yasser Arafat e i giovani cristiani della città; una città che sabato 23 pareva tirare un sospiro di sollievo dopo i fatti che avevano causato la morte, tra gli altri, del fotoreporter Raffaele Ciriello. Non sembrava, a prima vista, che ci fossero stati scontri così duri, ma bisognava guardare le strade segnate dai cingoli dei carri armati ed entrare nei campi profughi dove, per passare da una stanza all’altra di una casa, non si usano più le porte, ma i grossi fori praticati nei muri dalle armi israeliane.
Vedere le immagini di queste ore e ripensarsi lì, vedere la morte e la distruzione che tocca un popolo intero, mi fa rabbrividire; non penso a quello che poteva accadere al nostro gruppo (non ci ho mai pensato!), ma soffro per i giovani che ho conosciuto, con i quali ho condiviso momenti di festa, di preghiera, di fraternità attorno ad una tavola imbandita.
Il pensiero va alle città di Betlemme e di Ramallah, alla comunità cristiana e non, che soffre un’altra “strage degli innocenti”.
Mi chiedo, vedendo l’assedio della Basilica della Natività, dove si vuole arrivare.
È importante trovare occasioni per riscoprire la fiducia reciproca, per dare coraggio alla volontà di pace della popolazione. Nella terra in cui tutti credono in Dio, non tutti credono però che l’uomo sia figlio di Dio e si fanno la guerra. Chi crede, dovrebbe vivere insieme, ma questa (come dovunque) è la terra in cui è più comodo servire Mammona anziché Dio, perseguire gli interessi di un popolo contro un altro popolo.
Credo che ci potrà essere pace in Terra Santa solo quando sia i palestinesi che gli ebrei, a tutti i livelli, avranno fiducia reciproca; la sicurezza dei due popoli è strettamente legata.
Come tutte le belle esperienze, le emozioni sono sempre tante e a volte rischiano di non far vedere lucidamente la realtà; ci siamo ripromessi, tornando ciascuno alle nostre case, di meditare prima sul dono ricevuto e poi di farne testimonianza in tutti i luoghi, nelle diverse circostanze, senza gloriarsi, in spirito di servizio e con coraggio. Tutto ciò non per noi stessi, ma come preciso impegno preso con le comunità cristiane della Terra Santa perché siano aiutati, perché non si sentano abbandonati. Così, io come gli altri, in tutta Italia siamo disponibili a raccontare la nostra esperienza con la nostra voce, con foto, video e sussidi.
Marco Pappalardo
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