Il Sinodo è un'occasione per parlare dei giovani e con i giovani, ma la Chiesa ha anche molto da imparare da loro. È necessario intraprendere quindi un cammino insieme. Di questo, ne è consapevole il Rettor Maggiore...
del 22 ottobre 2018
Il Sinodo è un’occasione per parlare dei giovani e con i giovani, ma la Chiesa ha anche molto da imparare da loro. È necessario intraprendere quindi un cammino insieme. Di questo, ne è consapevole il Rettor Maggiore...
Il Sinodo è un’occasione per parlare dei giovani e con i giovani, ma la Chiesa ha anche molto da imparare da loro. È necessario intraprendere quindi un cammino insieme. Di questo, ne è consapevole il Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime.
Don Ángel, prima di entrare nel merito del Sinodo, voglio domandare: cosa si prova ad essere il X Successore di Don Bosco?
Si sente la responsabilità di dover fare tutto il necessario per essere il più fedele possibile a quello che Don Bosco voleva. Si deve accompagnare la Congregazione come oggi ci si aspetta che si faccia. Capita di sentirsi piccoli, in confronto alla grande figura di Don Bosco. Però ci si sente sereni, perché non si è mai soli. Ci si sente accompagnati dalla forza del Signore e dalle persone meravigliose che sono sempre al tuo fianco. Sono al quinto anno del mio servizio, ho visitato 102 nazioni dei cinque continenti, e posso dire che non mi sento affatto stanco!
Un atteggiamento tipico di Don Bosco era la costante creatività che usava per avvicinarsi ai giovani. Questo ci porta ad un tema oggi molto dibattuto, che è il mondo digitale. Come viene affrontato al Sinodo questo argomento?
Quello che è più volte venuto fuori, riguardo questo tema, è che noi siamo degli immigrati nel mondo digitale. I giovani, invece, ci sono nati e lo maneggiano in un modo che può anche lasciare perplessi. Ma questo vuol dire che loro, i giovani, sono quelli che possono meglio comunicare in questo mondo. Non siamo noi che dobbiamo insegnare loro come comunicare. Quello che possiamo fare noi è camminare al loro fianco. In ogni caso, non possiamo tirarci fuori dal mondo digitale: è come se qualcuno, trent’anni fa, avesse detto “no, non mi serve una macchina da scrivere”.
È emersa l’idea di scrivere, al termine del Sinodo, una lettera indirizzata ai giovani, oltre al documento finale. Cosa le piacerebbe che ci fosse scritto in questa lettera?
Parlando da Salesiano di Don Bosco, vorrei che si dicesse ai giovani che la Chiesa ha le porte aperte per loro, che qualunque sia la loro storia personale, noi siamo lì. Vorrei che si dicesse che, se loro ce lo permetteranno, vogliamo accompagnarli nel cammino della vita. Mi piacerebbe dire, e questo è molto salesiano, che noi crediamo in loro. Loro possono essere testimoni nel mondo. I ragazzi ascolterebbero più volentieri dei loro coetanei, piuttosto che il Rettor Maggiore dei Salesiani. Quindi direi loro: andate voi, ditelo voi ai vostri amici che ci sono tanti motivi per vivere la vita appassionatamente!
La maggior parte dei Padri Sinodali sono Vescovi e dunque hanno un’età e un’autorità che non sempre li portano a stretto contatto con i giovani. Quindi cosa si può fare per arrivare a questi ragazzi?
Nella vita ho imparato che il cuore di ogni giovane ha una chiave, che però si apre dall’interno. Nessuno può entrare se loro per primi non lo permettono. E noi quindi che possiamo fare? Quando ognuno tornerà al proprio luogo di origine, alla sua diocesi, dobbiamo dare la priorità ai giovani, fare in modo che nessuno si senta allontanato. Questi sono gli effetti diretti di un Sinodo.
Agenzia Info Salesiana
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