Ogni giorno la fedeltà alla vita consacrata viene messa a dura prova dalle sfide del mondo. Per superarle occorrono una solida vocazione e una formazione continua. Lo ribadisce l’arcivescovo José Rodríguez Carballo...
del 02 febbraio 2017
Ogni giorno la fedeltà alla vita consacrata viene messa a dura prova dalle sfide del mondo. Per superarle occorrono una solida vocazione e una formazione continua. Lo ribadisce l’arcivescovo José Rodríguez Carballo...
Ogni giorno la fedeltà alla vita consacrata viene messa a dura prova dalle sfide del mondo. Per superarle occorrono una solida vocazione e una formazione continua. Lo ribadisce l’arcivescovo José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, in questa intervista a «L’Osservatore Romano» all’indomani della plenaria dedicata alla fedeltà e dell’incontro interdicasteriale sull’aggiornamento del documento Mutuae relationes.
Quali sono le sfide da affrontare nella revisione di questo testo?
Prima di tutto è bene dire che non si tratta di una semplice revisione dell’attuale documento Mutuae relationes, ma di un testo nuovo. Questa era già l’intenzione dei superiori dei due dicasteri direttamente coinvolti per mandato del Papa, almeno finora: la Congregazione per i vescovi e la Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. Ma a tale intenzione si deve aggiungere il parere in questo stesso senso di diversi padri della plenaria interdicasteriale che si è svolta proprio il 26 gennaio. Un altro aspetto da considerare è che il nuovo documento terrà conto non soltanto delle relazioni tra pastori e consacrati chierici, ma tra pastori e tutte le forme di vita consacrata, maschile e femminile. Le sfide principali che vedo fanno riferimento a come applicare i principi teologici e giuridici che saranno alla base del nuovo documento — Chiesa di comunione, co-essenzialità tra doni gerarchici e carismatici, la dimensione sponsale della Chiesa e della vita consacrata, la giusta autonomia dei consacrati, la sana tensione tra particolare e universale — alla vita concreta tra i pastori e i consacrati nelle Chiese particolari.
Come si realizza questo passaggio dalla teoria alla prassi?
Penso che dove si giocano veramente le mutuae relationes è nel quotidiano e quindi nel vivere la mistica dell’incontro, come direbbe Papa Francesco, con tutto quello che comporta. Come ha detto il Pontefice ai vicari e delegati per la vita consacrata: «non esistono relazioni mutue lì dove alcuni comandano e altri si sottomettono, per paura o convenienza». Invece ci sono mutuae relationes dove si coltivano la capacità di ascolto, la reciproca ospitalità, l’apertura nel dialogo, la condivisione delle decisioni, il rispetto reciproco, una profonda conoscenza. Un elemento sul quale nella plenaria si è insistito molto, e che si ripeteva molto nelle proposte giunte al nostro dicastero da parte di più di 150 conferenze di superiori maggiori di tutto il mondo, è la necessità di una formazione adeguata nell’ecclesiologia del Vaticano ii. In questo senso si chiede che nei programmi di formazione dei seminari diocesani siano previsti corsi obbligatori di teologia della vita consacrata e del suo posto nella Chiesa, e nelle case di formazione dei consacrati si studi la teologia della Chiesa particolare e la missione del vescovo. Per superare incomprensioni reciproche è necessaria una adeguata formazione su questi aspetti e molta creatività per trovare spazi di vero incontro. Un altro elemento sul quale si è pure insistito è di non trattare la vita consacrata nella sua pura funzionalità. La vita consacrata va apprezzata prima di tutto dagli stessi consacrati e poi anche dai vescovi e sacerdoti diocesani, per quello che è: come segno e profezia. Infine, non si potrà dimenticare un elemento importante che può causare qualche tensione: la questione delle alienazioni da parte dei consacrati e la questione della proprietà. In questo secondo caso sono fondamentali le convenzioni.
Come verrà elaborato il nuovo documento?
Questo è ancora da decidere, prevediamo una commissione mista dei due dicasteri. Quello che sembra molto chiaro è la volontà che si attui una metodologia sinodale, prima di tutto tra le due Congregazioni e poi con le conferenze dei superiori generali e con i vescovi. Inoltre la plenaria ha chiesto che si elabori un documento con indicazioni pratiche e pastorali, oltre ai principi teologici e canonici. Per questo consideriamo molto importante ascoltare i protagonisti delle mutuae relationes: vescovi e consacrati.
Durante la plenaria avete parlato della fedeltà. Quali gli aspetti principali trattati?
Prima di tutto abbiamo constatato che nella grande maggioranza i consacrati vivono con gioia la fedeltà alla loro vocazione. C’è molta santità nella vita consacrata, come ha ricordato il Papa. Una fedeltà che porta non pochi consacrati a testimoniare la loro fede e vocazione fino allo spargimento del sangue. I martiri consacrati che ogni anno danno la vita per Cristo sono la prova migliore della vitalità e della santità della vita consacrata. Non ho dubbi nell’affermare che la vita consacrata nel suo insieme è un corpo che gode di buona salute. Abbiamo poi trattato degli elementi che aiutano la fedeltà e di quelli che la ostacolano. Infine abbiamo riflettuto sul doloroso tema degli abbandoni e segnalato alcune iniziative per prevenirli.
Quali sono le cause principali di questo fenomeno?
Non è facile individuarle: non sempre quelle indicate nei documenti che ci inviano per ottenere la dispensa dai voti sono le principali. Spesso vengono indicati problemi di tipo affettivo, seguiti dalle difficoltà nel vivere gli altri voti o la stessa vita fraterna in comunità. Io credo, però, che la prima causa abbia a che fare con la dimensione spirituale o di fede. Quando parliamo di fede non si tratta soltanto dell’adesione alla dottrina, ma di una fede vissuta, che tocca e cambia il cuore e quindi porta a una vita cristiana autentica e, come conseguenza, a una vita consacrata conforme a quanto uno ha abbracciato con la professione. A volte si confonde la fede con la religiosità. L’esperienza ci dice che uno può essere molto religioso e debole nella fede. La fede parte da un vero incontro con Cristo e porta a rafforzare questo incontro durante tutta la vita. Nella vita cristiana e consacrata si danno per scontati diversi aspetti riguardanti la fede ai quali si dovrebbe prestare molta più attenzione. Anche riguardo la spiritualità si dovrebbe fare più attenzione. Non va confusa con il semplice devozionismo, ma deve essere incarnata per diventare figli del cielo e della terra, mistici e profeti, discepoli e testimoni. Se la fede è debole, la spiritualità non è solida e nella vita fraterna in comunità ci sono problemi, facilmente la prima opzione si indebolisce e può venire meno, finendo con implicazioni affettive che fanno sì che prima o dopo si lasci da parte detta opzione. Quindi io sono dell’opinione che le principali cause siano la fragilità nell’esperienza di fede e nella vita spirituale, le difficoltà non risolte nella vita fraterna in comunità e, come conseguenza, problemi di tipo affettivo.
Quali fattori condizionano la fedeltà?
Si deve tener presente, prima di tutto, un dato che proviene dall’antropologia attuale: l’uomo e la donna di oggi hanno paura a impegnarsi definitivamente; si vuole lasciare sempre una “finestra aperta” per “imprevisti”, cadendo nell’ambivalenza che impedisce di vivere la vita nella sua pienezza. Questo ha molto a che fare con il contesto culturale e sociale in cui viviamo. La nostra è una società liquida che promuove una cultura liquida nella quale una relazione si costruisce a partire dai vantaggi che ognuna delle parti possa ottenere dall’altra e quindi dura quando durano i vantaggi; una cultura frammentata dove non c’è posto per i “grandi racconti” e dove si vuole portare avanti una vita à la carte, che spesso ci fa diventare schiavi della moda; una cultura del benessere e dell’autorealizzazione che facilmente ci fa passare dall’homo sapiens all’homo consumens producendo un grande vuoto esistenziale. A tutti questi condizionamenti vanno aggiunti quelli che provengono dal mondo giovanile, una realtà molto complessa dove, a giudicare da recenti inchieste, la cosiddetta generazione millennial, che succede alla generazione x, viene caratterizzata dall’indifferenza verso la religione e la poca conoscenza della Chiesa e della vita consacrata. In questo contesto, anche se a un certo momento alcuni si “convertono” e fanno opzione per detta forma di sequela, magari manca loro una vera motivazione, per cui nei momenti di difficoltà si cede alla tentazione di andarsene. Un ultimo elemento da tener presente è la stessa vita consacrata che può cadere nel discorso puramente estetico: si formulano alti ideali, ma poi la vita dei consacrati magari non testimonia la bellezza e la bontà di tale forma di sequela Christi. Così la vita consacrata non risponde più alla sua missione profetica, come chiede Papa Francesco, o, secondo le parole di Metz, alla sua missione di essere «terapia di shock per la grande Chiesa». La fedeltà viene condizionata anche dalla non sufficiente chiarezza identitaria consacrata. Non indifferente è la mancanza di un progetto di vita ecologico dove ci sia una vera armonia tra vita spirituale, vita fraterna e missione evangelizzatrice.
Si possono conoscere alcuni dati circa gli abbandoni?
Se il Papa parla di «emorragia» vuol dire che il problema è preoccupante, non soltanto per il numero ma anche per l’età in cui si verificano, la grande parte tra i 30 e 50 anni. Le cifre degli abbandoni negli ultimi anni restano costanti. Negli anni 2015 e 2016 abbiamo avuto circa 2300 abbandoni all’anno, compresi i 271 decreti di dimissione dall’istituto, le 518 dispense dal celibato che concede la Congregazione per il clero, i 141 sacerdoti religiosi incardinati pure et simpliciter in diverse diocesi e le 332 dispense dai voti tra le contemplative. Durante la plenaria ci siamo soffermati su tre constatazioni: l’elevato numero di chi lascia la vita consacrata per incardinarsi in una diocesi, il numero non indifferente delle contemplative che lasciano la vita consacrata e il numero di quelli che la abbandonano (225 casi) dicendo che mai hanno avuto vocazione. Si deve constatare che il più alto numero di abbandoni si ha tra le religiose, fatto almeno in parte spiegabile in quanto sono la grande maggioranza dei consacrati.
Cosa si può fare per aiutare chi è nel dubbio o per prevenire questi abbandoni?
Personalmente penso che si debba puntare prima di tutto sul discernimento, in modo che chi non è chiamato a questa forma di sequela Christi non abbracci questa vita. Nel discernimento si deve curare insieme la dimensione umana, affettiva e sessuale, la dimensione spirituale e di fede e anche quella intellettuale. Si deve prestare attenzione alle motivazioni, senza lasciarsi condizionare dalla tentazione del numero e della efficacia, come ci ha ricordato Papa Francesco. La vita consacrata non è per tutti e non tutti sono per la vita consacrata. Si deve inoltre fare molta attenzione a coloro che passano da un seminario o da un istituto a un altro. Non è possibile un discernimento adeguato senza un accompagnamento appropriato, offerto da persone capaci di trasmettere la bellezza del carisma in un determinato istituto e che siano esperte nel cammino della ricerca di Dio, per poter accompagnare gli altri in questo itinerario. Molte vocazioni si perdono lungo la strada per mancanza di un adeguato accompagnamento umano, spirituale e vocazionale. Poi è fondamentale curare la formazione, a partire dalla formazione permanente, humus di quella iniziale. Questa a sua volta dovrà essere: una formazione personalizzata e in chiave di processo; evangelicamente esigente ma non rigida; umana e motivatrice, inculturata; una formazione alla fedeltà; una formazione a un’affettività sana e feconda.
Nicola Gori
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