A preoccupare non è “la superficialità con cui i giovani hanno rapporti sessuali” (dato allarmante e “culturalmente” significativo). Il peso della frase è tristemente concentrato nelle due parole finali: “non protetti”. Come dire: ciascun ragazzo e ciascuna ragazza, del suo corpo e della sua vita faccia ciò che crede. Preoccupiamoci solo se Tizia, Caia e Sempronia non si “proteggono”.
«La strada più diretta verso una meta sembra spesso breve e diritta. Ma tutto quanto è prezioso non è né facile né veloce da raggiungere… Chi è in cammino troppo in fretta, spesso supera la meta senza accorgersene».
(Gernot Candolini, Scoprire se stessi nel labirinto)
Gli “esperti” parlano, parlano, parlano e i ragazzi sono sempre più soli
Più leggo i “consigli” che certi adulti danno ai giovani, e più mi convinco che, dei giovani, quegli adulti sanno pochissimo, per non dire nulla. Chiusi nei loro laboratori, nei loro studi, o riuniti in commissioni (le più strampalate), o impegnati a tenere conferenze, probabilmente i giovani (veri) non li hanno mai guardati negli occhi. Di certo non ne conoscono il cuore. Un esempio? Si è appena tenuto ad Atene un summit europeo sulla contraccezione. Ne relaziona oggi, con un articolo su Repubblica, il dottor Aldo Franco De Rose, urologo e andrologo presso l’ospedale S. Martino di Genova.
Le persone, si sa, ai congressi diventano numeri, grafici, statistiche, e così la fotografia che ci arriva da Atene è la seguente: sono in crescita i comportamenti sessuali a rischio, aumentano gli aborti tra minorenni (oltre tremila casi l’anno!), si assiste ad un incremento delle malattie sessualmente trasmesse ed anche della contraccezione di emergenza, soprattutto in estate, con una crescita del 12% rispetto ai primi tre mesi dell’anno. Così scrive poi De Rose: «A preoccupare è la superficialità con cui si continua ad avere rapporti sessuali non protetti».
Mentre la puntigliosa legge, prova a mettere insieme i dati, e lei che con i giovani lavora, parla, trascorre le sue giornate da 25 anni come insegnante, e da 18 come madre di una femmina e di un maschio, comincia a non tornare qualcosa. Non le torna, ad esempio, che a preoccupare non sia “la superficialità con cui i giovani hanno rapporti sessuali” (dato allarmante e “culturalmente” significativo), ma che il peso della frase sia concentrato nelle due parole finali: “non protetti”.
Come dire: ciascun ragazzo e ciascuna ragazza, del suo corpo e della sua vita faccia ciò che crede. Non serve ci preoccupiamo di educare chicchessia al significato profondo dell’intimità sessuale, in modo che sia vissuta consapevolmente e responsabilmente e non nell’ottica dell’usa e getta, con il rischio della promiscuità (e delle malattie ad essa correlate); preoccupiamoci solo se Tizia, Caia e Sempronia non si “proteggono” per scongiurare patologie sessualmente trasmissibili e per evitare gravidanze indesiderate. La “protezione” e cioè la tutela della salute mentale degli adolescenti, che se vivono prematuramente, e impreparati, i rapporti sessuali, hanno degli strascichi psicologici importanti non interessa nessuno. Non è tema da medici e non merita spazio ai congressi europei.
Certo si dirà che se il summit è sulla contraccezione, l’o.d.g. ad Atene non può che essere sulla contraccezione. Vero. La cosa inquietante è però la “no man’s land” che circonda i giovani che crescono e cominciano a vivere esperienze affettive e ad approcciarsi all’altro sesso. Non solo non sono educati ed accompagnati più da nessuno, ma – lo vedrete – trovano davanti a sé degli adulti “esperti” che, in realtà, nelle indicazioni che danno li depistano e li confondono (eufemismi. La puntigliosa non sapeva che verbi usare. Fosse stata la sboccata che non è, avrebbe scritto “li incasinano”, che vale nel suo significato letterale ma anche metaforico. Ma non è sboccata e quindi non l’ha scritto. Se vi pare di leggerlo, è suggestione vostra). «Il titolo olimpico della sessualità» ???
Sentite un po’ questa e poi ditemi. Ecco il dottor De Rose: «La Società italiana di Ginecologia e Ostetricia Sigo, col progetto “Scegli tu” supportato dalla Bayer, alla vigilia delle Olimpiadi ha coinvolto alcune fra le maggiori atlete italiane come testimonial diffondendo in ambulatori e consultori della penisola la pubblicazione “Donna e sport”. “Per conquistare il titolo olimpico nella sessualità – dice Margherita Granbassi, campionessa mondiale di fioretto – è obbligatorio seguire regole precise: niente fumo, alcol e droghe, alimentazione bilanciata, pratica sportiva costante, no a gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmesse; utilizzare la pillola contraccettiva abbinata al preservativo rappresenta la migliore strategia di gara». Touché? Macché! Chi ha il compito di educare i giovani (parlo dei genitori, innanzitutto; ma poi gli insegnanti, le diverse realtà educative, i medici, magari anche la testimonial di turno) sarebbe auspicabile spiegasse che fare l’amore non è una specialità sportiva e che l’ansia da prestazione già è deleteria negli altri ambiti della vita, figuriamoci quando si vive un’esperienza di intimità! E invece gli “esperti” (?) che fanno? Scelgono nientepopodimeno che… la metafora delle Olimpiadi, con tutti i significati annessi e connessi.
Fate capire alla puntigliosa (che evidentemente non riesce – letteralmente – a stare al passo con i tempi, ma in questo specifico caso anche se ne vanta). Com’è la storia? Vince – cronometro alla mano – chi arriva al “traguardo” il più velocemente possibile? Funzionerà alle Olimpiadi, ma – correggetemi se sbaglio – sarebbe decisamente insoddisfacente in un rapporto di coppia! Oppure, vince chi colleziona più medaglie, cimentandosi con partner diversi? Andrà anche di moda, ma di certo non è amore!
Ci sono, allora, un po’ di domande che è necessario porsi. D’accordo che ad Atene il tema era la contraccezione. D’accordo che le case farmaceutiche se ne fanno un baffo di quella cosa strana chiamata “amore” e non guardano in faccia nessuno, perché vanno dritte dritte al portafoglio. Dal loro punto di vista, dunque, lo spot è perfetto: più rapporti sessuali = più contraccettivi venduti. Accoppiamenti di gruppo? Il pallottoliere dice «bingo!» e il pallottoliere delle ditte farmaceutiche ha sempre ragione (una ragione senza cuore: perfetto!)
Se – inutile negarlo – chi vuole vendere fa i propri interessi e se queste sono le genialate che la Sigo farà leggere nei consultori e negli ambulatori della penisola, sarà bene che genitori e educatori si riapproprino immantinente della responsabilità del loro ruolo, e non lascino i ragazzi in balia del… nulla, ma riscoprano il gusto di accompagnarli, pazientemente, a scoprire la bellezza e la profondità dell’esperienza affettiva e amorosa.
Chi con i giovani parla, e non li vede solo come compratori/consumatori di contraccettivi, sa quanto è travagliata l’adolescenza, quanto è difficile l’accettazione di un corpo che cambia; conosce lo sguardo dei primi innamoramenti, o dell’attrazione per l’altro sesso. Chi trascorre tante ore con le ragazze e per loro diventa un punto di riferimento autorevole, ha sentito di certo la confidenza sofferta di tante “prime volte” vissute perché “lo fanno tutte”, o perché “altrimenti mi prendono in giro”, o “sennò lui mi molla”. Sono ferite che non si rimarginano più.
Certo educare all’affettività è impegnativo, perché occorre tempo e bisogna mettersi in gioco in prima persona. Più facile e più veloce accompagnare la figlia quattordicenne dal ginecologo, farle prescrivere la pillola e saperla “protetta”. O delegare agli incontri di “educazione sessuale” promossi dalle scuole. O ai media. O ai discorsi tra coetanei. O lasciare che i giovani imparino la strada dei consultori, preferibilmente tagliando fuori dal tragitto la via di casa (che è esattamente ciò che vuole il “mondo”: questo mondo “panem et circenses”, in cui ogni desiderio va soddisfatto sempre e subito, e pazienza se poi resti con l’amaro in bocca…).
Io non lo so che cosa sono riuscita a trasmettere, in questi anni insieme ai ragazzi, della bellezza dell’innamoramento e dell’amore. So che i giovani – checché ne pensino gli “esperti” e le case farmaceutiche – quando spiego letteratura restano affascinati e commossi da ideali “alti” di amore.
Questo cercano: storie “grandi”. E se anche combinano cretinate, non si accontentano di niente di meno del “per sempre”. E ti guardano e ti ascoltano che in classe non vola una mosca, quando parli del cammino paziente che hai fatto tu: dall’iniziale “sentirsi bene” con l’altro, a “voler bene”, a “volere il bene” dell’altro, in un rispetto di fondo che non banalizza la sessualità, riducendola a “gara olimpica” (?), ma la esalta perché non la separa dall’unica cosa che le dà senso, e cioè… l’amore. Quello di cui ai congressi “scientifici” non si parla mai, perché l’amore – quello vero – non lo quantifichi. Non è roba da pallottoliere…
Sara Luisella
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