Nel nostro tempo di individualismo estremo, o al massimo di un noi "interessato", mi è parso interessante anche da un punto di vista umano e sociale, prima ancora che teologico e spirituale...
del 13 ottobre 2017
Nel nostro tempo di individualismo estremo, o al massimo di un noi "interessato", mi è parso interessante anche da un punto di vista umano e sociale, prima ancora che teologico e spirituale...
È da poco trascorsa la festa di San Francesco, e in questi giorni mi è risuonato particolarmente dentro il testo delle Lodi a Dio altissimo, per la presenza ricorrente e direi quasi martellante del pronome "tu", rivolto al Signore stesso. Questo, riflettevo, nel nostro tempo di individualismo estremo, o al massimo di un noi fusionale ed "interessato", mi è parso interessante anche da un punto di vista umano e sociale, prima ancora che teologico e spirituale. Insomma, quel tu estremo di Francesco d'Assisi ha ancora qualcosa da dire a noi uomini e donne di oggi?
Penso che per capire meglio occorra fare alcuni accenni non solo alla biografia del santo, ma anche alla storia di questo suo meraviglioso canto d'amore.
Infatti tra le preghiere autentiche attribuite a Francesco d'Assisi siamo certi che le Lodi ci siano, non solo autentiche ma anche autografe (non sempre è così perché altre volte invece Francesco sceglie di dettare i testi ai suoi fratelli), invece qui tutto è scritto da lui sul verso della pergamena che contiene anche la Benedizione a Frate Leone. Così nel lato (riferiscono le Fonti Francescane) che contiene la Benedizione a frate Leone, sopra di essa, da altra mano e con inchiostro rosso è scritto: «Il beato Francesco, due anni prima della sua morte, fece una quaresima sul monte della Verna, ad onore della beata Vergine Maria, Madre di Dio e del beato Michele arcangelo, dalla festa dell'Assunzione di santa Maria vergine fino alla festa di San Michele arcangelo; e la mano di Dio tu su di lui mediante la visione e le parole del serafino e l'impressione delle stimmate di Cristo nel suo corpo; compose allora queste laudi che sono scritte nel retro di questo foglio, e le scrisse di sua mano, rendendo grazie al Signore per il beneficio a lui concesso».
Anche Tommaso da Celano nella Vita Seconda cap. XX, 49 ci rende testimonianza del fatto: «Un giorno Francesco lo chiama (frate Leone): Portami - gli dice - carta e calamaio, perché voglio scrivere le parole e le lodi del Signore, come le ho meditate nel mio cuore».
Alla fine aggiunse la benedizione del frate e gli disse: «Prenditi questa carta e custodiscila con cura fino al giorno della tua morte». La data di composizione dunque è chiara: Settembre 1224. Il testo delle Lodi, poi, sul quale dunque viene fatta la ricostruzione dell'edizione critica viene fisicamente ricavato da una pergamena usurata, attualmente conservata presso il Sacro Convento di Assisi, in molti punti resa quasi illeggibile per la pieghettatura eseguita da Frate Leone, al fine di portarla sempre con sé sul petto, come bigliettino di profonda amicizia e vicinanza che il suo grande amico, padre e fratello Francesco aveva scritto per lui. Tenerissimo, dunque, questo particolare biografico se pensiamo alla profonda relazione che lega questi due fratelli e a come il reperto arrivi a noi per merito di una conservazione fortunata.
Per iniziare dunque una sorta di gioco dei pronomi che ci guidano in questa piccola riflessione, questo testo nasce da un noi (il legame profondo di questi due amici e fratelli), tra due persone che hanno condiviso un tempo umanamente terribile per Francesco, i due anni in cui Francesco dimora sul monte della Verna, in preda ad atroci dubbi per la sensazione di aver fallito nella sua missione.
Ma di quali pronomi soprattutto ha fatto esperienza Francesco? Certamente ha conosciuto un primo noi nel suo essere bambino tra le braccia di sua madre, donna che Francesco amava fuor di misura forse anche per la particolare affinità di sensibilità di cuore e di modalità che li univa profondamente, per poi approdare ad un io importante, quello della sua giovinezza da ragazzo ricco e viziato di Assisi, dove le biografie lo ricordano come "re delle feste", riferendosi al ruolo emergente che aveva come leader nelle scorribande insieme ai compagni nobili di Assisi. Non pochi storici hanno, infatti, riconosciuto nella personalità di Francesco un profondo tratto narcisistico, un ego prorompente capace di grandi orgogli, ma anche di grandi slanci ideali. E nonostante tutto egli, nel suo percorso, si ritrova "io" anche di fronte a quel Crocifisso di San Damiano che gli parla ed "io" anche in quel tempo lungo della sua malattia psico-fisica tornato dalla prigionia e dalla guerra.
Così comincia a sentirsi figlio dell'unico Padre celeste e quindi fratello di tanti compagni, dalle allodole, al fuoco, alle stelle fino ad ogni uomo, soprattutto a quei primi fratelli che si uniranno a lui e per i quali a più riprese tenterà di scrivere una Regola che sappia tutta di Vangelo. E' l'epoca di un "noi", entusiasta negli ideali come solo un "neo-convertito" può essere, con la virulenza di aver riscoperto la grandezza dell'amore di Dio e di poterla vivere assieme a qualcuno in una totalità di vita. Bellezza, castità, preghiera, condivisione della povertà si vivono dunque in un umano "noi", dove il rispetto vuole che anche i ruoli di comando si scambino a turno (si ricordi la Regola degli Eremi dove a turno ogni frate dei tre nell'eremitaggio è chiamato a fare da madre, mentre gli altri diventano di volta in volta "figli")... Dualità, circolarità, "noi" .... Fino a quando quel noi si ingrandisce a tal punto che Francesco non lo comprende più, quasi non è più suo: l'Ordine è troppo grande, e come ci riporta il testo de "la Perfetta Letizia", a Francesco non viene più aperta la porta dell'ipotetico convento del racconto perché da dentro gli viene sfacciatamente detto che i frati sono divenuti "tanti e tali" da non aver più bisogno di lui...
Allora il "noi", possiamo immaginare facilmente, vacilla con forza se egli deve ricordare a se stesso che "perfetta letizia" consiste nel non conturbarsi in quella notte di freddo e di rifiuto dei suoi compagni. E così, solo con il fidato frate Leone, inizia il tormentato ritiro della Verna dove egli chiede ragione a Dio sul perché sia naufragato quel noi così bello, così ideale, così povero ed evangelico... secondo lui così in Dio! Perché, Signore? Dammi un segno.... E quel segno ci sarà, insieme all'impressione delle Stimmate sul suo corpo malato e sfinito, ma ci sarà soprattutto la risposta di Dio in quella sua consapevolezza nuova, in quel Tu, che è Dio, che Francesco ha scoperto in se stesso con tutti gli aggettivi che gli riserva appunto nel testo delle Lodi a Dio altissimo, come dicevamo. Un Tu che non diventa anestesia totale dove immergersi per dimenticare le proprie delusioni umane, ma un Tu che gronda di tutte le scoperte faticose su se stesso e sugli altri, sui suoi ardori e sulle sue delusioni. Un Tu insomma che gronda di Io e di Noi!
E così ad ogni aggettivo o sostantivo che troverà per definire il Suo Signore, egli ci metterà tutto quello che ha lì con sé, su quel sasso della Verna con Leone che trema a distanza, e lo sente gridare di strazio e anche lui non è più sicuro di niente (per quello sarà destinatario, da parte di Francesco, di quel bigliettino di Benedizione a cui si accennava!). Ogni aggettivo o sostantivo è dunque di una semplicità estrema e anche forse di un'ambivalenza mirabile, un impasto incredibile di virtù spirituale e valenza umana esperienziale. Francesco sembra aver bisogno di dirGli che è forte, grande, altissimo, bene, vivo e vero, umile, paziente e mansueto.... Quante volte avrà fatto esperienza di riuscire ad aver, e qualche volta anche non avere, lui stesso pazienza e mansuetudine verso i suoi fratelli, di sentirsi grande e forte mentre li guidava, li esortava o li incoraggiava a seguire il bene. E anche lui quante volte avrà goduto di essere ripreso, esortato e trattato con umiltà e pazienza dagli altri, il tutto nella bellezza dello scambio della relazione fraterna. E ancora il bisogno di quiete, quando gli altri ti affaticano e tu stesso ti accorgi di essere fatica per gli altri, di essere temperante quando il bisogno umano spinge troppo, di dare sicurezza e anche di riceverne dagli altri, di farsi bastare la ricchezza come sufficiente, di godere del bello proprio e altrui, di essere protetto e custodito e di poterlo garantire agli altri. E infine di sperimentare refrigerio e dolcezza, stati tutti mutuati da un corpo vissuto e ascoltato, non solo vilipeso come molti agiografi credono erroneamente... E infine la parte finale del canto dove le virtù cardinali vengono cantate, e diventano fede e speranza e carità sperimentate ogni giorno, provate lì nel crogiolo del capire cosa sia la Misericordia divina e l'attesa, spesso difficile, della Vita eterna, sperimentando il bisogno ad ogni ora dell'onnipotenza di Dio in un rispetto totale di Chi è Lui e di chi sono io... Spesso infatti Francesco nei primi tempi della sua esperienza religiosa, raccontano le Fonti, si era posto questa domanda: "Chi sei tu, chi sono io?"
Ora Francesco a quel Tu sembra esserci arrivato per altra strada, quella della rinuncia ad un noi dove egli si impossessava dei frati e dell'ispirazione iniziale. Ha scritto sapientemente Simon Weil: "Tutti gli sforzi dei mistici hanno sempre mirato ad ottenere che nella loro anima non vi fosse più neppure una parte che dicesse io. Ma la parte dell'anima che dice noi è infinitamente più pericolosa."
Certo nel Tu delle Lodi Francesco riconsegnava al Padre ogni tentazione di possesso che poteva rimanere nel "noi" fraterno che ancora viveva.
Lodi di Dio Altissimo
Tu sei santo, Signore Dio unico,
che compi meraviglie.
Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei altissimo.
Tu sei Re onnipotente, tu Padre santo,
Re del cielo e della terra.
Tu sei Trino e Uno, Signore Dio degli dei,
Tu sei bene, ogni bene, sommo bene,
Signore Dio, vivo e vero.
Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza.
Tu sei umiltà. Tu sei pazienza.
Tu sei bellezza. Tu sei mansuetudine
Tu sei sicurezza. Tu sei quiete.
Tu sei gaudio e letizia. Tu sei speranza nostra.
Tu sei giustizia. Tu sei temperanza.
Tu sei ogni nostra sufficiente ricchezza.
Tu sei bellezza. Tu sei mansuetudine.
Tu sei protettore. Tu sei custode e difensore nostro.
Tu sei fortezza. Tu sei refrigerio.
Tu sei speranza nostra. Tu sei fede nostra .
Tu sei carità nostra. Tu sei completa dolcezza nostra.
Tu sei nostra vita eterna,
grande e ammirabile Signore,
Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.
Chiara Gatti
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