Quando è la fede ad andare in goal

Alex Giorgetti, argento di pallanuoto a Londra,

Quando è la fede ad andare in goal

“Come tutti voi qui dentro, avevo un sogno e amavo la pallanuoto, anche perché sono nato in Ungheria che in questo sport è ai massimi livelli. Allora è come se Dio mi avesse detto: è il tuo sport, gioca e divertiti. E io l’ho fatto. Andate dietro ai vostri desideri, orientateli verso un fine buono e non preoccupatevi di altro”. Alex Giorgetti, 24 anni, argento a Londra (oro e titolo di miglior giocatore ai mondiali di Shangai nel 2011), sta parlando alle centinaia di persone sedute per terra, che affollano il villaggio dei ragazzi. Davide Perillo, direttore di Tracce, la rivista di Comunione e Liberazione, lo sta intervistando nell’ambito di questo evento, voluto da Piccole tracce, l’inserto per bambini del periodico ciellino, e dalla CdO sport.

Giorgetti è un torrente in piena, e passa liberamente da un argomento all’altro, ma due questioni gli stanno particolarmente a cuore e vi ritorna di continuo: l’amore di Dio e il modo con cui Dio gli si è fatto incontro. “Avevo tutto – dice, ricostruendo gli ultimi anni della sua vita – successo, divertimenti, donne e auto. Ma non volevo bene a mia madre e trattavo mio fratello da estraneo”. Quando, nel 2008, la ragazza l’ha lasciato, è cominciato il tunnel della disaffezione allo sport (non è andato neanche agli Europei), della insoddisfazione verso gli amici, della scontentezza verso tutto e tutti. “Il baratro ai miei piedi”. Poi quegli incontri. Due gemelli giocatori di pallanuoto, “che si trattavano come mai io avevo considerato mio fratello”; un’insegnante di lettere americana, attaccatissima alla famiglia; una ex compagna di scuola reduce da Medjugorje; Franca di Chiavari, “con una letizia stampata sul volto che mi ha subito impressionato”, che lo ha portato qui al Meeting.

“Tutti incontri che mi hanno fatto capire perché sono al mondo e che cosa posso fare”. La prima conseguenza è un voto: “se vinciamo a Shangai, vado scalzo a Medjugorje”. Arriva l’oro e si toglie le scarpe per fare a piedi nudi le due colline brulle delle apparizioni. Cambia la sua vita in tutto, squadra compresa e diventa un punto di riferimento per i suoi compagni, che si rivolgono a lui per ogni problema. “Magari sulle prime mi prendevano in giro ed erano scettici – ricorda – ma adesso mi guardano con occhi diversi, si accorgono che gli voglio bene. A Londra io e alcuni compagni pregavamo nella mia stanza”. “Sarà un caso – aggiunge con tranquillità – ma da quel momento la pallanuoto italiana stranamente è arrivata al massimo”. Dopo gli incontri, l’esperienza della fede continua e “si alimenta con la preghiera, i sacramenti, la Messa, la lettura dei testi sacri”. Lui, che a sei anni, è stato letteralmente buttato in piscina dalla madre, perché imparasse a nuotare, invita ragazzi e bambini a guardare ai genitori come un dono di Dio, ma li esorta a salvaguardare la propria libertà: “Ai genitori che dovessero negarvi quel che vi dà gioia rispondete che siete delle anime libere e che non vi debbono tarpare le ali”.

Per il futuro, quali progetti? “Diventare uomo, dare speranza a chi non ne ha – risponde – mettere su famiglia e crescere dei figli. Ma senza fretta, perché ogni cosa ha il suo tempo”. Dispiacere per l’oro mancato a Londra? “Certo, perché per natura noi non ci accontenteremo mai, e lo dice anche il titolo del Meeting. Ma avere imparato ad amare e aver scoperto se stessi vale più che dieci medaglie d’oro”. Gli chiedono un parere sulla vicenda di Alex Schwazer. “È impossibile mantenersi sempre ai massimi livelli – risponde – È importante però che abbia ammesso quel che ha fatto e così si è liberato di un peso. Se riuscirà a mantenersi onesto e vero, troverà una strada ancora più bella e gratificante”.

Perillo ha appena il tempo di dire che “lo sport educa tutto l’uomo perché fa venir fuori il desiderio”, che comincia l’assalto per gli autografi.

 

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