Secondo la tradizione giudaica e quella cristiana Dio ha fatto della relazione d'amore la ragione del suo compromettersi con la famiglia umana lungo tutta la storia.
del 15 settembre 2010
Sono in grado le religioni, come hanno potuto fare in altri campi in passato, di mobilitare energie che contribuiscano ad una vera e propria conversione ecologica? Questo domanda una sorta di escatologia radicale, come afferma Latour, cioè un lungo e lento cambiamento che investe molti ambiti, riferito ad una enorme quantità di dettagli e, soprattutto, dipendente da un`infinità di gesti che, ecco la cosa più ardua, chiedono un rovesciamento di mentalità a miliardi di persone.
Le passioni religiose possono venire in soccorso alla deboli energie che oggi sembrano caratterizzare i numerosi conflitti ecologici?
La domanda contiene un invito, neppure troppo implicito, a porre in modo radicalmente nuovo il rapporto eco-logia e teo-logia, per affrontare scopertamente i conflitti interni ai due mondi.
Mi limito ad un suggerimento di carattere generale. Non voglio entrare nel dibattito sulla nozione di natura, che quasi tutti, sia in campo scientifico che in campo teologico, danno ormai come spacciata e considerano responsabile di quasi tutti i mali che affliggono l’umanità. Personalmente sono dell’idea che, dal momento che sempre qualcosa si dà a qualcuno, un quid ultimo sia ineliminabile. E, fin da Aristotele, cos’era la fysis se non questa molteplice, dinamica datità?
Tuttavia è vero, e lo è in modo particolare per il cristianesimo, che in nessun modo si può parlare di natura se non in termini di creatura. Ed è proprio una adeguata riflessione sulla creazione ad aprire la via per ripensare il rapporto tra ecologia e teologia. La creazione infatti mette in campo la relazione.
E l’uomo postmoderno si trova posto di fronte ad una bruciante alternativa. Passata l’epoca delle utopie, con il fitto buio che ha gettato sul secolo scorso, l’antropologia postmoderna assume un marcato carattere pascaliano. Ha l’andamento della pregnante scommessa intorno ad un’alternativa radicale: l’uomo del terzo millennio vuole essere solo l’esperimento di se stesso o vuole essere un io-in-relazione?
L’antropologia per essere adeguata deve essere drammatica. Deve accettare che l’uno insuperabile in cui l’io consiste si dia sempre in modo duale. Sono uno, per questo posso dire io, ma sono sempre uno di due: uno di anima-corpo; uno di uomo-donna; uno di individuo-comunità, uno di uomo-cosmo. Pertanto l’alterità mi costituisce come dimensione interna all’io, che per questo non può esistere se non in relazione. È lo stesso carattere drammatico o polare dell’io a mostrarlo apertamente. Per questo il modo giusto di nominare l’io è io-in-relazione.
L’intrecciarsi delle polarità costitutive rivela l’autentico rapporto di creazione, come la permanente amorosa relazione di Colui che chiama all’essere tutta la realtà e continua ad accompagnarla. Secondo la tradizione giudaica e quella cristiana Dio ha fatto della relazione d’amore la ragione del suo compromettersi con la famiglia umana lungo tutta la storia. Egli, per il popolo ebraico e per i cristiani è il Dio con noi, dove il noi mette in campo tutte le polarità-relazioni costitutive cui abbiamo fatto cenno. La relazione, sempre polare, dell’io con se stesso, con gli altri, con il cosmo con Dio è la strada inevitabile per poter dire io in maniera umanamente soddisfacente.
Come non vedere in questa prospettiva l’improcrastinabile compito di inscrivere la buona relazione con il creato nei cerchi intersecantesi delle altre relazioni costitutive?
Questo suggerimento, me ne rendo conto, è troppo generale per non rischiare di essere ovvio. Tuttavia mi sembra in grado di mostrare il ponte che esiste tra ecologia e teologia. Ponte che anche le scienze più avvedute oggi stanno costruendo, avendo abbandonato una vulgata ecologista fondata su un mitico ritorno alla natura buona ed innocente. È vano il grido di Baudelaire: Pan è tornato!. Tanto meno si può dar credito ad Assmann quando parla di Mosè come l’egiziano. La via dell’incontro urgente e collaborativo tra ecologia e teologia è quella di continuare, con amore, la logica della creazione. Una logica ad un tempo scientifica, religiosa e politica. Per questo è logica di giustizia e di sviluppo integrale dell’umanità.
Le religioni possono dire la loro in merito alle questioni ambientali quando si esprimono in soggetti, personali e comunitari, disponibili alla narrazione e impegnati a mostrare le ragioni valide di un’adeguata esperienza umana.
Le religioni infatti aprono all’universale concreto perché consentono ad ogni singolo di fare spazio al desiderio infinito che lo abita a cui nessuna natura potrà mai bastare.
*Patriarca di Venezia. Il testo è un estratto dall’intervento con cui il cardinal Scola apre oggi I Dialoghi di San Giorgio della Fondazione Giorgio Cini, sul tema Protecting nature or saving creation? Ecological conflicts and religious passions. Il testo integrale su www.angeloscola.it
card. Angelo Scola
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