Quel prete che rubava i figli ai mafiosi

L'omicidio di don Puglisi è diverso da altri. È impostato come un attacco mirato a un educatore dei nostri figli (...) Era un uomo che poteva minare i fondamenti del controllo e del comando totale sul quartiere di Brancaccio.

Quel prete che rubava i figli ai mafiosi

 

«L’omicidio di don Puglisi è diverso da altri. È impostato come un attacco mirato a un educatore dei nostri figli. Non lo vedevamo come un nemico, come il dottor Falcone o come altri (...) ma era un uomo che poteva minare i fondamenti del controllo e del comando totale sul quartiere di Brancaccio. Andava per conto suo a risvegliare le coscienze e ad aiutare le famiglie povere, cosa che facevamo in parte anche noi verso i bisognosi».Don Pino Puglisi Eccoli, uno accanto all’altro, il veleno della mafia e il suo antidoto, nelle poche, asciutte parole di Gaspare Spatuzza, il pentito che con le sue verità sta riscrivendo la storia delle stragi e degli attentati compiuti dalla criminalità organizzata in Italia negli anni Novanta. E che sta mettendo in discussione di conseguenza anche l’impianto accusatorio di diversi processi di mafia.

 

È, la sua, “una” verità, è La verità del pentito (Milano, Sperling & Kupfer, 2013, pagine 275, euro 17), titolo del libro-intervista realizzato da Giovanna Montanaro, sociologa, già consulente della commissione parlamentare antimafia, dalle cui pagine provengono appunto le parole sopracitate. Ma è una verità pesante, che non può non essere presa in considerazione, come del resto sta facendo la magistratura italiana, raccogliendo verbali subito secretati.

 

Grazie allo stile diretto e informale dell’intervista, quello di Montanaro è un libro che proietta subito il lettore in un mondo che può apparire a tratti grottesco, animato da personaggi dei quali si avrebbe a volte la tentazione di sorridere, con la loro colorita scenografia di fuoco, sangue e «santine», «fratuzzi» e «cose nostre». Se non fosse che si parla delle stesse persone capaci di rapire un bambino di dodici anni in lacrime, di tenerlo legato come un animale, prima di strangolarlo e di scioglierne il corpo nell’acido, come il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino. O di sparare in testa a un prete perché «aiutava i bisognosi». Come Pino Puglisi.

 

L’omicidio del parroco di San Gaetano, a Brancaccio, quartiere di Palermo, come racconta appunto il pentito, non è come gli altri. In primo luogo per lo stesso Spatuzza, che attribuisce la sua conversione religiosa proprio al ricordo del sacerdote ucciso il 15 settembre del 1993. Poi perché rivela il vero punto sensibile dell’impianto in apparenza granitico del fenomeno mafioso. «Un educatore dei nostri figli»: ecco cos’era, per i mafiosi, don Puglisi. Un «parrino», un parroco qualunque, che si permetteva di “rubare” i figli alla mafia, laddove i figli non sono solo del padre e della madre, ma sono anche carne da manovalanza, giovani da allevare secondo un sistema di valori rovesciato, per il quale il capo della famiglia è quello «che ti dà la morte o te la può togliere».

 

 

Marco Bellizi

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