Come fanno i Salesiani, che vivono per i giovani, a mantenere la speranza in queste circostanze?
del 03 gennaio 2017
Come fanno i Salesiani, che vivono per i giovani, a mantenere la speranza in queste circostanze?
Don Pier Jabloyan, Direttore dell’oratorio salesiano nella città di Aleppo, lo dice chiaramente: il rischio di un “adattamento alla realtà c’è. Abituarsi ad una vita di guerra e accontentarsi di sogni più piccoli: magari avere l’elettricità in casa per poter accendere la TV o lavare i panni in casa, non dover andare a prendere l’acqua lontano… Da un lato è una necessità per sopravvivere, dall’altro è qualcosa di drammatico”.
È quella che il salesiano chiama “la forza brutale della guerra”: quella capacità della violenza di uccidere non solo gli uomini, ma anche sogni, progetti, ideali, soprattutto tra i giovani. La voglia di sopravvivere che sostituisce la voglia di vivere.
È qualcosa che tocca gli stessi religiosi, che prima potevano occuparsi tranquillamente dell’apostolato, della cura del proprio gregge di fedeli, mentre ora devono dividere il tempo disponibile con le necessità minime: trovare l’acqua, il cibo, gli elementi essenziali per andare avanti.
Ed è qualcosa che da fuori è difficile comprendere, perché la quotidianità della guerra la si capisce solo quando la si vive. “Neanche noi capivamo quando alcuni nostri amici ci dicevano quello che accadeva in Iraq durante la guerra” ammette don Jabloyan.
A ciò si aggiunga che il caso siriano è peculiare e in buona misura non compreso all’estero. “Quando mi domandano di Aleppo mi rendo conto che c’è una disinformazione terribile”. L’unica cosa chiara a tutti è che c’è in atto una “guerra vicaria, sporca e molto concreta”, dove diversi interessi hanno trovato in Siria “un campo di battaglia” e dove “a pagare, anche con la vita, sono i civili”.
Eppure, afferma don Jabloyan, “come Salesiani abbiamo speranza in un futuro migliore: per questo restiamo e lavoriamo con i ragazzi. Se smettessimo vorrebbe dire che l’avremmo persa. Ma anche il minimo spiraglio di luce ci mantiene e quando la guerra sarà finita la nostra grande missione sarà ricostruire quanto è stato demolito, non solo dal punto di vista fisico”.
Per questo è ancora possibile trovare alcuni aspetti positivi generati da tutto questo: la paura della guerra ha portato anche la capacità di dare valore alle piccole cose, di saper far festa alla minima occasione. “È un po’ quello che cerco di trasmettere quando su Facebook condivido ‘il sorriso del giorno’, testimonianze degli spazi di vita che ci restano, della presa di coscienza che ogni momento che passa è prezioso”.
La condizione di precarietà, inoltre, ha anche rafforzato la fede di molti, trasformandoli a loro volta in annunciatori. “Sembra di rivivere la realtà dei Primi Cristiani e come all’epoca c’è la coscienza di un martirio possibile. Nessuno lo cerca, ma l’atteggiamento è quello di chi dice: ‘Signore, non vogliamo, ma sia fatta la tua Volontà’”.
Gian Francesco Romano
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